Quando l’omofobia può essere omosessualità latente

Dalle prepotenze ai crimi d’odio contro i gay. Cosa si nasconde dietro ai pregiudizi e alle esplicite dichiarazioni del proprio orientamento sessuale? Partiamo da un presupposto: le persone che presentano un atteggiamento ostile verso gli omosessuali, e che hanno un’opinione irremovibile contro di loro potrebbero avere gli stessi desideri sessuali, sebbene camuffati in qualcos’altro ritenuto più accettabile. L’omofobia potrebbe essere riconducibile a dei genitori autoritari, anch’essi sostenitori del medesimo pregiudizio.
In-group VS out-group. L’autoriflessione è la risposta da dare alla pulsione viscerale verso chi è diverso da noi.
Le nostre amicizie, le persone che frequentiamo, che entrano nella nostra quotidianità e con cui ci identifichiamo fanno parte dell’in-group, cioè il nostro gruppo di appartenenza. Tutto ciò che è avulso da questo si identifica con l’out-group, cioè l’altro, il diverso. Secondo Richard Ryan, professore di psicologia all’Università di Rochester, davanti a uno stimolo irrefrenabile verso chi non fa parte del nostro gruppo di appartenenza dovremmo interrogarci sul perché, e usare le emozioni che proviamo per alimentare un’autoriflessione.
Istinti sessuali repressi o l’essere stati repressi. Ecco due delle molteplici fonti dai cui possono originarsi i sentimenti omofobi.
In un’intervista rilasciata al LiveScience, il professor Ryan afferma che le persone mettono in atto dei meccanismi di difesa quando si sentono minacciate dall’out-group (in questo caso i gay e le lesbiche). A volte questi atteggiamenti rivelerebbero il tentativo di difendersi dai propri impulsi. Proprio così: l’ostilità smisurata confuterebbe la stessa credibilità di cui si ammanta, rivelando un autentico impulso di segno opposto, cioè l’attrazione. Ma c’è dell’altro. Sembra che coloro che vorrebbero opprimere gli altri, siano stati a loro volta oppressi. Quindi, il loro rifiuto dell’altro deriverebbe dall’incapacità di accettare sé stessi.
Omosessualità latente: alcuni studi sui tempi di reazione hanno evidenziato la discrepanza tra l’orientamento sessuale ostentato e quello implicito.
Quattro ricerche differenti, condotte tra Germania e Stati Uniti d’America, hanno messo in luce come dietro all’orientamento sessuale a cui si dice di appartenere si celerebbe la possibilità di un’omosessualità latente. Il campione oggetto di studio era costituito dagli studenti e dalle studentesse del college. I partecipanti venivano sottoposti preliminarmente alla procedura del priming, che consiste nell’essere sottoposti a uno stimolo visivo per un tempo brevissimo, inferiore a quello necessario per riconoscerlo, ma sufficiente a farlo recepire a un livello subliminale. La procedura del priming prevedeva la proiezione rapidissima delle parole “io” o “altri” su uno schermo. Dopo questa fase, gli studenti e le studentesse osservavano delle parole e delle immagini proiettate su uno schermo, e dovevano classificarle in due gruppi: gay o etero. Le parole che comparivano erano: gay, etero, omosessuale ed eterosessuale; invece le immagini mostravano coppie etero o omosessuali. Secondo i ricercatori un tempo di reazione veloce tra “io” e “gay”, comparato a un tempo di reazione più lento tra “io” e “etero” avrebbe indicato un implicito orientamento omosessuale.
I questionari dei ricercatori riuscivano anche a ricavare a quale tipo di educazione genitoriale fossero stati esposti i partecipanti. Le domande chiedevano quanto fossero d’accordo o in disaccordo con certe affermazioni, per esempio “Certe volte mi sento controllato/a e sotto pressione”, oppure “Mi sento libero/a di essere chi sono”. Per misurare l’omofobia tra le mura domestiche, il campione in esame rispondeva a delle affermazioni con argomentazioni del tipo “Mia madre sarebbe sconvolta se scoprisse di essere stata da sola con una lesbica”, oppure “Mio padre evita i gay ogni volta che può”.
I partecipanti indicavano il proprio livello di omofobia, sia in modo esplicito che implicito.
Per esempio, un’altra attività richiedeva di scrivere le prime parole che venivano loro in mente, solo con il suggerimento di alcune lettere. A un certo punto dello svolgimento della prova i soggetti venivano sottoposti alla procedura del priming – la parola “gay” appariva in modo impercettibile sui loro schermi –, per misurare quanto questa influenzasse nella scelta di parole più o meno aggressive.
Maggiore è l’empatia dei genitori con i propri figli, maggiore sarà l’armonia di questi ultimi con il proprio orientamento sessuale.
In tutte le ricerche condotte, i soggetti che riferivano di avere dei genitori solidali e al loro fianco erano anche quelli che mostravano una maggiore coincidenza tra il proprio orientamento sessuale implicito ed esplicito. Al contrario gli studenti e le studentesse, che dichiaravano di vivere in ambienti domestici più autoritari, mostravano una discrepanza maggiore tra orientamento sessuale implicito ed esplicito.
Secondo Netta Weinstein, docente all’Università dell’Essex nel Regno Unito, “In una società per lo più eterosessuale, conoscere te stesso può rappresentare una sfida per molti individui omosessuali. Ma in un ambiente domestico rigido e omofobo, accogliere un orientamento sessuale minoritario può essere terrificante”.
Vediamo un ultimo esempio tratto dalle ricerche che abbiamo menzionato. I partecipanti che riferivano di essere eterosessuali a dispetto di latenti pulsioni omosessuali, erano anche i più propensi a essere ostili verso i gay, ad assumere atteggiamenti anti-gay, a sostenere politiche omofobe e discriminatorie, per esempio il ricorso a punizioni più severe per gli omosessuali.
In conclusione, il contributo che può venire dalla ricerca è quello di aiutare a spiegare cosa alimenti il bullismo e i crimini d’odio contro gli omosessuali. Le persone che negano il proprio orientamento sessuale è probabile che lo facciano in virtù di un ambiente domestico autoritario e omofobo, e che possano sentirsi minacciate dai gay e dalle lesbiche che vivono liberamente la propria omosessualità.
Nel 2005, a Roma, Paolo Seganti fu torturato e ucciso in quanto gay.
Dal 2013 una targa commemorativa ricorda il suo nome nel Parco delle Valli. Si tratta del primo monumento romano in memoria di una vittima di omofobia, e testimonia la solidarietà a coloro che sono stati/e e sono tuttora vittime di omofobia e transfobia. Da marzo 2021 la Capitale ospita un altro simbolo di vicinanza per le vittime del pregiudizio. Lungo il muro della stazione Jonio, capolinea della metropolitana B1, è comparso un murale in pixel art dell’artista Arcadio Pinto, conosciuto nel mondo della street art come Krayon. La sua opera raffigura un bacio tra donne, un omaggio alla comunità LGBT+ di Roma. È il primo murale autorizzato da un’istituzione pubblica italiana che raffiguri un bacio tra una coppia omosessuale. Accanto ai profili delle due donne compare il numero verde di Gay Help Line 800.713.713, che offre supporto contro la transfobia.
Ogni anno sono migliaia le vittime di omotransfobia. Se si è vittime di prepotenze, emarginazione o repressione è vitale chiedere aiuto. Gli atteggiamenti di odio posso condurre a conseguenze spaventose. La consulenza di uno specialista è sicuramente uno dei passi da compiere per proteggersi e chiedere aiuto.