Quali sono le differenze tra counselor e psicologo

- Ah, sai vado da un counselor da qualche mese.
- E come ti trovi? Anch’io vado da uno psicologo.
Nella vita quotidiana è facile imbattersi in conversazioni poco sorvegliate, gli interlocutori si parlano e credono di capirsi. Più un tema è inusuale, o percepito come scomodo, più la matassa della conversazione si aggroviglia. Chiariamo subito la nomenclatura: counselor e psicologo non sono due sinonimi per indicare la stessa figura professionale. Una persona che avesse bisogno di un supporto psicologico non dovrebbe rivolgersi a un counselor piuttosto che a uno psicologo, come se i due profili fossero intercambiabili. Si tratta di due professioni diverse, con competenze diverse, che derivano da una formazione diversa. Eppure la questione si ripropone, intreccia e confonde i ruoli. Sciogliamo i nodi della questione e vediamo perché counselor e psicologo non sono la stessa cosa.
Counseling o counselling: come si scrive? Cosa significa? Chi l’ha inventato?
Il counseling è un percorso di assistenza di breve medio periodo. Il suo obiettivo è di scoprire e potenziare le abilità del cliente, al fine di raggiungere un obiettivo concordato. La persona che accompagna il cliente in questo processo di consapevolezza agisce in qualità di counselor, che possiamo tradurre con ‘agevolatore, consulente’. Intorno a questa figura la comunità scientifica si è spesso interrogata, divisa, persino sul modo di chiamarla. Se cerchiamo counselor e counseling in internet, notiamo che la grafia oscilla tra le forme con una o due <l>. Le forme scritte di counseling e counselor con una sola <l> appartengono alla lingua inglese parlata negli Stati Uniti; l’inglese britannico, invece, preferisce le forme con <ll>. A prescindere da come le si scriva, designano la stessa cosa.
La nascita del counseling si deve al pensiero di due psicologi umanisti statunitensi del Novecento: Carl Rogers (1902-1987) e Rollo May (1909-1994). Rogers fondò la psicologia umanistica e teorizzò un modello psicoterapeutico centrato sul cliente. Secondo Rogers ogni individuo ha le risorse per determinare il proprio comportamento, per migliorarsi e preservarsi. Questa funzione innata si chiama tendenza attualizzante e può subire delle battute d’arresto nel corso della vita. La persona incontra delle difficoltà nell’autorealizzarsi e non sa come superarle. Il ruolo del counselor è di aiutare il cliente a trovare le risorse dentro di sé, per uscire dal groviglio di emozioni che rendono la propria vita incongruente.
Le teorie di Rogers incontrarono il favore di Rollo May, che nel 1939 pubblicò The Art of Counseling (‘L’arte del counseling’). May illustra come il counselor sia una guida che aiuta il cliente a sviluppare le proprie potenzialità, esprimere sé stesso, superare gli ostacoli e realizzarsi nel mondo esterno.
Counselor: cosa fa? Come diventarlo?
La figura del counselor opera nell’ambito relazionale. Dopo una fase di ascolto del paziente, il counselor lo aiuterà a focalizzarsi su un obiettivo e a elaborare una strategia per raggiungerlo. Un counselor può prendere in carico i casi di persone singole, di coppie o di piccoli gruppi. L’efficacia del suo operato sarà data sia dalle sue capacità empatiche, sia dalla sua preparazione rigorosa. Quest’ultimo aspetto è stato al centro di una lunga diatriba tra le associazioni di counseling e l’Ordine nazionale degli psicologi. Infatti, in Italia il quadro normativo attorno al counseling non è dirimente come quello statunitense. Se negli Stati Uniti la carriera del counselor deve seguire un percorso di studi delineato, nel nostro Paese non c’è stato finora né un ordine professionale, né una legge quadro che stabilisse un percorso formativo univoco. Il buon senso avrebbe suggerito che una persona avesse una formazione accademica in ambito sociologico, psicologico o più in generale nelle scienze sociali. Dopo di che sarebbe stato necessario conseguire un master post laurea in counseling, o comunque dei corsi privati erogati dalle associazioni specializzate nella disciplina. Per anni il riconoscimento del counseling in Italia si è mosso all’interno di una zona grigia, fino alla presa di posizione del Ministero della salute nel 2019:
“[…] il progetto di norma UNI n.1605227 pone la figura del Counselor non psicologo in palese sovrapposizione con quelle dello psicologo, dello psicologo psicoterapeuta, del dottore in tecniche psicologiche, del medico, del medico psichiatra, del medico psicoterapeuta, in analogia con il precedente progetto UNI 08000070 sul “Counseling relazionale”, la cui adozione venne già sospesa da codesto Ufficio. Il CNOP – Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi […] ha espresso la sua posizione di contrarietà al citato progetto di norma Uni 1605227 sul Counselor, in quanto, a parere dello stesso, le attività ivi attribuite al counseling «come più volte segnalato rientrano a pieno titolo tra le attività tipiche della professione di psicologo.» Inoltre, il CNOP con la medesima delibera ha individuato il counseling tra le attività che […] non possono essere riconosciute ad una professione non regolamentata.”
Questa dichiarazione si inserisce in una discussione che durava da oltre un decennio, e ha il merito di sedare alcune polemiche: il counseling è riconosciuto come una delle tecniche di pertinenza di uno psicologo; per fare counseling bisogna essere iscritti all’ordine degli psicologi; quindi, solo chi è uno psicologo può operare come counselor.
Counseling o psicoterapia: qual è il percorso più adatto?
Attraverso il counseling ci occupiamo di problemi relativi alla sfera conscia della persona.
Il counseling è efficace se applicato alla dimensione consapevole, al mondo esterno, a tutto ciò che è oggettivo. Al contrario, se il problema affonda le sue radici nell’inconscio, se i segnali indicano la presenza di una patologia (ad esempio un disturbo alimentare) è necessario un approccio psicoterapeutico. Quindi, siamo di fronte a due tecniche diverse e sarà compito dello specialista riconoscere e concordare quella più adatta ai bisogni della persona.