Perché è importante variare le pietanze se si soffre di disturbi alimentari

Abbiamo tutti un amico, o un’amica, che non viene mai quando organizziamo una cena. Il suo comportamento potremmo riassumerlo così: se stiamo già tutti insieme, se ne va prima dell’aperitivo; se organizziamo una serata, ci raggiunge dopo cena; quando, invece, siamo riuniti a tavola, mangia sempre le stesse cose, che è probabile abbia portato con sé. Se mettiamo da parte i casi in cui una persona soffre di problemi conclamati (come le sensibilità alimentari o la celiachia), il comportamento che abbiamo appena descritto può essere una spia di un disturbo alimentare. Limitarsi a mangiare sempre le stesse cose pregiudica la nostra salute. Vediamo perché una dieta varia ed equilibrata sia il primo passo per ritrovare il benessere psicosociale.
Tre benefici di un’alimentazione varia ed equilibrata
Abituarsi a mangiare tutto non solo è una scelta salutare, ma aggiunge alla vita quel pizzico di sale che la rende più stimolante. I percorsi terapeutici su chi soffre di disturbi alimentari hanno evidenziato questi benefici:
- Sapersi adattare. Chi soffre di bulimia nervosa o di attacchi di fame incontrollata di solito segue un rituale costituito da tre momenti: restrizione alimentare; abbuffate; purghe o vomito autoindotto per liberare l’organismo. Rieducare il nostro corpo ad accettare certi alimenti renderà la persona più versatile. Attraverso la psicoterapia è possibile allentare la morsa della dieta, e predisporre la persona a mangiare anche altro.
- Saper variare. Una dieta ferrea per antonomasia è quella seguita da chi soffre di anoressia nervosa. Anche in questi casi il trattamento terapeutico aiuta la persona ad allentare il controllo morboso sui grassi e le calorie presenti negli alimenti.
- Tornare a esplorare. Chi segue un inflessibile regime alimentare ha una possibilità di scelta limitata su cosa mangiare. Questa difficoltà è sotto controllo in condizioni normali, ma è ingestibile se si vuole uscire dai centri abitati o andare all’estero. Oltre a vivere in condizioni di deficit energetico, c’è una buona parte di vita sociale che sparisce.
Quanta vita ci perdiamo se non usciamo dalle restrizioni autoimposte?
Tanta. Un disturbo alimentare non è solo una persona che perde la presa sulla realtà, sui limiti oltre i quali rischia di non tornare più. Un disturbo alimentare è anche una vita sociale sempre più evanescente. Gli ostacoli su cui si fossilizzano le persone sono due:
- Cambiare contesto. I momenti conviviali sono quelli più prolifici per stringere nuovi legami o rinsaldare quelli esistenti. Riunirsi intorno a una tavola aiuta a fare gruppo. Purtroppo, chi si limita a mangiare solo una categoria di alimenti, e solo in un certo modo, si precluderà qualunque contaminazione. Preferirà perdersi ogni opportunità di scambio e di divertimento, piuttosto che svincolarsi dalle proprie abitudini.
- Cambiare alimento. Pensare di mangiare solo e sempre il cibo preferito è una sentiero pericoloso. Prima di tutto è quasi impraticabile muoversi per lavoro o per piacere personale senza portarsi dietro delle provviste. In secondo luogo, mangiare sempre la stessa cosa porterà alla nausea; in seguito a non voler mangiare nemmeno quella; quindi a perdere interesse per il cibo in generale.
Qualche consiglio per riavvicinarsi al cibo con serenità
Nel percorso di guarigione dai disturbi alimentari arriva il momento in cui stilare un elenco degli alimenti proibiti. La lista contiene ciò che fino a oggi il o la paziente ha escluso a priori dalla propria dieta. Questi alimenti andranno reintrodotti nel piano alimentare a piccole dosi. Poiché l’esposizione ai cibi proibiti genererà ansia e rifiuto, sarà importante educare il o la paziente a gestire le proprie emozioni attraverso delle tecniche di rilassamento.
Nel 2014 la Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU) ha pubblicato la quarta revisione dei Livelli di assunzione di riferimento di nutrienti ed energia per la popolazione italiana (LARN). Il documento è rivolto a chi opera nel mondo della nutrizione. Vediamo di seguito alcune indicazioni sugli standard quantitativi delle porzioni:
Latte e derivati
Latte e yogurt, 125 g (un bicchiere o un vasetto)
Formaggi freschi, 100 g (una mozzarella piccola)
Formaggi stagionati e semistagionati, 50 g
Carne, pesce e uova
Carni fresche/surgelate, 100 g (una fettina, un petto di pollo)
Salumi insaccati e non insaccati, 50 g (3-4 fette di prosciutto)
Pesce, molluschi e crostacei freschi/surgelati, 150 g (un filetto medio)
Pesce, molluschi e crostacei conservati, 50 g (una scatoletta di tonno)
Uova, 50 g (un uovo)
Legumi
Legumi freschi 150 g (mezzo piatto)
Legumi secchi 50 g (3-4 cucchiai)
Farine di legumi, 50 g
Prodotti a base di soia, 100 g
Cereali e tuberi
Pane, 50 g (una rosetta)
Pasta all’uovo secca, pasta di semola, riso, masi, farro, orzo, cous-cous, ecc., 80g (4 cucchiai di riso)
Pasta all’uovo fresca, 100 g
Pasta all’uovo ripiena, 125 g
Brioche, croissant e cornetti, 50 g (un cornetto non ripieno)
Patate e altri tuberi, 200 g
Verdure e ortaggi
Insalata a foglia, 80 g (una scodella)
Verdure e ortaggi, crudi o cotti, 200 g (mezzo piatto di spinaci)
Frutta
Frutta fresca, 150 g (una mela)
Frutta secca, 30 g (8 noci).
Una cattiva alimentazione si riflette sulla nostra salute
Togliere di punto in bianco degli alimenti dalla propria dieta, senza che sia necessario, ha delle ricadute sul nostro stato di salute. Le decisioni arbitrarie ricorrenti riguardano il glutine, le carni o le verdure. Lasciamo che sia uno specialista a pronunciarsi su cosa sia più salutare per il nostro organismo. Se abbiamo notato dei comportamenti evitanti nei confronti del cibo, da parte nostra o di una persona che conosciamo, rivolgiamoci a uno psicoterapeuta.