Perché ascoltare ed essere ascoltati ci fa bene

Parliamo per scambiarci delle informazioni, costruire delle relazioni, ottenere dei consensi. Purché ci sia qualcuno dall’altra parte disposto ad ascoltarci. Udire e ascoltare non sono la stessa azione: la prima ci conferma la risposta del nostro apparato uditivo a uno stimolo esterno; la seconda indica che oltre alla ricezione dello stimolo c’è stata da parte nostra un’elaborazione, una comprensione. Dunque percepire con l’udito non implica il buon esito della comunicazione.
Chi di noi non ha avuto almeno una volta un interlocutore con gli occhi persi nel vuoto?
Ascoltare per apprendere
Cosa stavamo dicendo? Appunto. Che l’ascolto sia un imprescindibile canale di apprendimento ce lo confermano sia i corsi di lingua straniera, sia le pubblicazioni scientifiche. Guy Itzchakov è professore associato presso il Department of Human Services dell’Università di Haifa. Il suo campo di ricerca sono i processi interpersonali, nello specifico come l’ascolto di qualità sia una via di crescita individuale e collettiva. Secondo Itzchakov un ascolto empatico e non giudicante è in grado di influire sulle emozioni e sulle prospettive degli interlocutori.
Una pratica relazionale che migliora i risultati sul lavoro
Itzchakov di concerto con la professoressa Netta Weinstein e il ricercatore Arik Cheshin ha condotto uno studio intitolato ‘Imparare ad ascoltare: effetti della formazione all’ascolto sulla relazionalità, il burnout e le intenzioni di turnover dei dipendenti (fonte: Itzchakov G., Weinstein N., Cheshin A. (2022). Learning to listen: Downstream effects of listening training on employees’ relatedness, burnout, and turnover intentions. Human Resource Management, 1– 16).
L’esperimento è stato condotto su due gruppi: uno ha ricevuto la formazione all’ascolto (cioè ha svolto la funzione del gruppo sperimentale); l’altro non ha ricevuto alcun insegnamento (cioè è servito come gruppo di controllo). L’obiettivo era misurare se la formazione potesse migliorare l’ambiente di lavoro in termini di: qualità delle relazioni tra pari; diminuzione degli esaurimenti nervosi; infine, riduzione della rotazione del personale in entrate e in uscita.
Sia subito dopo la prima esposizione, “sia tre settimane dopo, la formazione all’ascolto si è dimostrata collegata a un maggiore senso di relazione con i colleghi, a un minore burnout e a minori intenzioni di turnover. Questi risultati suggeriscono che la formazione all’ascolto può essere sfruttata come un potente strumento di gestione delle risorse umane per coltivare relazioni più forti sul lavoro.”
Istruire un gruppo di colleghe e colleghi al dialogo non solo migliora i rapporti sociali nell’ambiente di lavoro, ma rappresenta una fonte di risparmio tangibile in termini di costi aziendali. Infatti, le risorse umane del servizio clienti che avevano ricevuto la formazione all’ascolto sapevano gestire meglio le crisi con i clienti; il loro livello di ansia era più basso; erano più competenti di fronte alle situazioni critiche. I dipendenti addetti alle vendite sapevano conquistarsi meglio la fiducia dei clienti, di conseguenza vendevano di più.
Insomma, appurato che “le relazioni distruttive sul posto di lavoro e le intenzioni di turnover hanno implicazioni economiche e pratiche negative per le organizzazioni, […] la formazione all’ascolto può essere un investimento utile che comporta una miriade di vantaggi personali e di produttività per i partecipanti, e per coloro con cui interagiscono al lavoro. Pertanto, dovrebbe essere un obiettivo di qualsiasi dipartimento delle risorse umane che voglia migliorare le relazioni nei luoghi di lavoro” (fonte: Itzchakov G. et alii, cit.).
Quali sono i vantaggi di un buon ascolto
A torto la posizione di chi riceve un messaggio viene considerata passiva, quando invece contribuisce a rilanciare la conversazione. Vediamo in breve alcuni punti di forza del buon uditore e come questi incidano sulla relazione con chi parla.
Schiena dritta. La comunicazione non verbale e la prossemica dicono moltissimo del nostro livello di coinvolgimento. Siamo d’accordo? In disaccordo? Stiamo sbadigliando? Ci piaccia o no, l’oratore o l’oratrice di turno noteranno in tempo reale i nostri feedback involontari; e noi seppur inconsapevoli condizioneremo il proseguimento del loro discorso.
A me gli occhi. Il contatto visivo che instauriamo con la persona che parla la rassicurerà sul nostro coinvolgimento. Se durante un convegno cominciamo a spaziare tra gli arredi e le finiture degli infissi, non stiamo facendo la nostra parte.
Do ut des. Se ascoltiamo con attenzione abbassiamo il livello dell’ansia di chi parla; non ce ne accorgiamo eppure stiamo già costruendo una relazione. Infatti, è probabile che quando sarà il nostro turno di parola riceveremo lo stesso rispetto.
Interagire. Diamo importanza a chi abbiamo davanti facendole o facendogli una buona domanda, oppure parafrasando quanto detto finora. Chi è sul palco percepirà che vogliamo saperne di più e si sentirà ascoltato dal resto della platea.
Imparare. Se davvero siamo lì per accrescere le nostre conoscenze e competenze, il nostro corpo farà il resto. Se la nostra curiosità è autentica ci verrà spontaneo prestare attenzione, fare le giuste domande, non interrompere e non bisbigliare.
Come sviluppare l’ascolto
Non è facile lasciare che qualcosa di nuovo cambi le nostre convinzioni. Orgoglio, pregiudizio, contesto culturale, sono variabili che influenzano la nostra predisposizione al cambiamento. Se durante le conversazioni il tuo atteggiamento è riluttante, aggressivo o irrispettoso è probabile che ci siano delle rigidità dentro di te che ostacolano la tua crescita personale. Lo psicoterapeuta saprà ascoltarti per dare un nome ai tuoi pregiudizi e a ciò che ti ostacola nelle relazioni con l’altro.