“Papà, sono gay”: il coming out più difficile?

Per un figlio la frase “papà sono gay” può essere molto più difficile da dire: scopriamo il perché
Venire a conoscenza dell’omosessualità del proprio figlio può non essere semplice. Le premesse e i segnali che un figlio manifesta possono essere tanti e un genitore attento, partecipe e non giudicante osserverà ed intuirà facilmente le peculiarità del proprio ragazzo, comprese le sue preferenze affettive e sessuali.
Nella maggior parte dei casi, tuttavia, il ruolo di “Cristoforo Colombo” nella scoperta di territori inesplorati è in genere assunto dalle madri.
La madre, specialmente con i figli maschi, tende ad essere più protettiva, attenta e disponibile alla comunicazione. Nella nostra cultura in particolare con la madre si può parlare di (quasi) tutto, ci si confida con lei e affrontare il tabù dell’omosessualità risulta – il più delle volte – meno complicato.
Non altrettanto accade di solito coi padri. Un padre eterosessuale molto spesso fantastica un figlio che sia la sua copia da giovane. Una miniatura di sé pronta a spiccare il volo grazie alla sua guida e ai suoi consigli. Un figlio, insomma, che sia una sorta di estensione di sé, colui che realizzerà ciò che, magari, lui non è riuscito a realizzare. Ma per fortuna non si viene al mondo per soddisfare le aspettative degli altri e i figli non nascono per soddisfare le aspettative dei genitori.
Le reazioni del padre all’omosessualità di un figlio
Ognuno ha il proprio carattere, un rapporto unico con il proprio figlio e reazioni differenti. Nel nostro contesto culturale e nella maggior parte dei casi è il padre ad incontrare maggiori difficoltà di fronte alla rivelazione dell’omosessualità del proprio figlio (maschio).
Le preoccupazioni di un padre sono inevitabilmente connesse alla sua cultura di provenienza e ai pregiudizi e agli stereotipi che molto spesso nutre su un mondo che non conosce o ignora del tutto. Paure sociali per il futuro del figlio, paure di non accettazione da parte degli altri, convinzione dolorosa che non potrà formare una famiglia o avere dei figli, paura che contragga malattie. La maggior parte di queste paure non sono altro che miti da sfatare ma è difficile che ciò accada se il genitore non si predispone ad un colloquio autentico e se non è in grado di lavorare per il bene del proprio figlio.
In realtà al di sopra – o al di sotto – di molte paure aleggia un bruciante senso di colpa. Stereotipi culturali e senso comune di altri tempi attribuiscono l’omosessualità di un figlio anche ad atteggiamenti troppo o troppo poco autoritari del padre, all’aver concesso amicizie particolari o al non aver seguito abbastanza il figlio durante l’adolescenza.
In realtà, è bene convincersi che l’orientamento affettivo-sessuale è un aspetto peculiare di una persona e procede da una predisposizione naturale. Anche la ricerca scientifica ha da tempo verificato che l’orientamento sessuale, qualunque esso sia, non può essere attribuito a comportamenti all’interno della famiglia o ad eventi traumatici di alcun tipo.
Il disagio del figlio
In una cultura fortemente maschilista e patriarcale, un figlio avvertirà probabilmente un forte disagio nel rivelare la propria omosessualità al padre. Oltre al timore della reazione, vi è la paura di ferire e deludere il genitore e di non essere considerato alla sua altezza.
È abbastanza frequente, più di quanto si pensi, che un figlio scelga di fare cose che non ama – come praticare sport di solito più amati dai maschi, quali il calcio, il karate, il basket – solo per accontentare il padre. Ancora più frequentemente è il padre stesso a “costringere” un figlio che percepisce come troppo differente da sé a praticare attività che al figlio stesso sono sgradite.
Si tratta di comportamenti e modalità educative violente, controproducenti e del tutto inutili. L’omosessualità non può essere modificata e tanto meno con questi pessimi escamotage. Le uniche cose che un padre dovrebbe fare sono comprendere ed accettare. Il sostegno della famiglia è importantissimo, insieme all’ascolto e alla condivisione. Parlare fa bene, molto spesso.
Inoltre, un dialogo genitori-psicologo o figlio-psicologo potrebbe essere utile per appianare i conflitti o, perlomeno, permettere che si esprimano salvaguardando il rispetto e l’inviolabilità psichica, emotiva e fisica delle persone.