Leggere i libri aiuta la nostra psiche?

La scrittura comparve nella nostra storia evolutiva oltre 5000 anni fa. Uno dei suoi primi scopi fu quello di misurare: prendere nota del contenuto dei vasi di argilla; registrare le transazioni. Ai pittogrammi riferiti agli oggetti seguirono gli ideogrammi associati alle idee, in seguito comparvero i caratteri, gli aspetti fonetici, la pronuncia. Ogni cultura elaborò una lingua che ne rispecchiasse l’identità. Con il passare dei secoli, leggere divenne un requisito imprescindibile per lavorare nel commercio, per accedere ai più alti gradi della società. L’abilità di leggere fa la differenza ora come allora, e se entra a far parte della nostra quotidianità giova anche al nostro benessere psicofisico.
Un libro ci fa bene perché:
- abitua i bambini a elaborare i concetti astratti, applicare la logica, riconoscere i rapporti di causa ed effetto, usare il buon senso;
- accresce la plasticità cerebrale, perché stimola i percorsi neurali del nostro cervello;
- argina il declino mentale, specie nelle persone anziane;
- arricchisce il lessico di bambine e bambini più di quanto non faccia la televisione;
- aumenta le probabilità di vivere con più serenità l’ingresso nel mondo della scuola, fin dall’istruzione primaria;
- comunica al nostro corpo che è ora di andare a dormire, a patto che il libro sia cartaceo e che leggere diventi un’abitudine prima di coricarci;
- dimezza il livello dello stress;
- duplica il beneficio in chi soffre di una depressione grave, se la lettura riguarda testi di auto aiuto;
- incentiva a raggiungere gli obiettivi, infatti immedesimarsi durante la lettura spinge a voler imitare certe azioni e in generale a portare a termine i propri compiti;
- mantiene elastica e attiva la nostra mente, soprattutto se leggiamo i testi poetici complessi;
- migliora la memoria a breve termine e la capacità di rievocare i ricordi;
- permette di immedesimarsi in personaggi con differenti personalità e di reimpiegare quell’empatia nella vita reale;
- riduce il rischio di soffrire di Alzheimer;
- rinforza le sinapsi esistenti e ne crea di nuove, infatti la lettura dei romanzi ci costringe a ricordare la trama, i personaggi, gli eventi cruciali della storia;
- solleva lo stato d’animo di chi soffre di depressione, specie se la lettura avviene ad alta voce.
I caratteri tipografici ci fanno compiere delle inferenze
Apriamo il libro, diamo un’occhiata alla pagina e il cervello recepisce subito l’aria che c’è tra una riga e l’altra, il volume delle lettere, la distanza tra loro, se i caratteri hanno o meno le grazie. Ancor prima di iniziare la lettura avremo già elaborato delle inferenze sul testo: avrà un contenuto frivolo o solenne? Parlerà di cibo o di politica? Chiunque abbia frequentato l’università, o sia alle prese con il proprio romanzo nel cassetto, si sarà interrogato su quale font adottare. La scelta potrebbe ricadere a ragion veduta sul Garamond. Claude Garamont (scritto con la <t> e non la <d>) fu un tipografo francese vissuto agli inizi del Cinquecento; a lui dobbiamo la creazione del carattere tipografico Garamond: un font ricorrente nelle pubblicazioni formali come i bandi di concorso o i manuali accademici. Questa informazione a molte persone non cambierà la vita, eppure il nostro cervello la percepisce in un lampo, cioè riconosce in quel carattere tipografico un aspetto di formalità, eleganza. Questa operazione di inferenza la compiamo senza accorgercene per tutti i caratteri tipografici.
Dall’incipit al lobo occipitale: cosa accade nel cervello
Dal momento in cui il nostro sguardo si posa sul testo scritto, l’immagine viaggia verso la parte posteriore del cervello, il lobo occipitale, qui c’è una grande concentrazione di neuroni deputati al riconoscimento delle immagini. Le persone alfabetizzate attivano il giro fusiforme sinistro, cioè l’area che identifica le parole, e riconoscono la parola come simbolo, qualunque sia il carattere tipografico impiegato. Dall’immagine abbiamo ricavato un simbolo, ma non sappiamo ancora che cosa voglia dire. Dunque, lo stimolo nervoso viaggia verso le aree linguistiche dei lobi frontali e temporali del cervello che ne decifrano l’ortoepia, cioè la pronuncia appropriata, e il significato corrispondente.
Stimolare le sinapsi con la lirica italiana
Rispolveriamo le antologie scolastiche, o le raccolte di testi poetici che abbiamo in casa. Più i testi saranno ricchi di figure retoriche e difficili da parafrasare, meglio sarà per la nostra salute. Infatti, secondo uno studio dell’Università di Liverpool maggiore è la complessità del testo, più sarà lo sforzo richiesto alle aree linguistiche del cervello. Chi vorrà sfidarsi con la lingua inglese potrà cimentarsi nella lettura di Shakespeare, Wordsworth o Eliot T.S.. Dal momento che la tradizione poetica italiana vanta una nutrita produzione letteraria, potremmo cogliere l’occasione per andarci a rileggere e parafrasare le canzoni, le canzonette o i sonetti della Scuola siciliana, per esempio quelli di Giacomo da Lentini, Stefano Protonotaro o Cielo d’Alcamo.
La lettura è una forma di auto aiuto contro la depressione
Il vissuto di una persona depressa è un coacervo di relazioni sociali che non funzionano, incapacità di concentrarsi, stanchezza opprimente, non riuscire più ad apprezzare la propria vita, a meravigliarsi. Se tu, o una persona che conosci, ricalca questa descrizione, contattami per un colloquio conoscitivo. Valuteremo insieme qual è il percorso psicoterapeutico più idoneo per tornare a godere della propria vita.