FoMO: il disturbo dell’iperconnessione

FoMO è l’acronimo inglese che sta per Fear of missing out, cioè ‘paura di rimanere escluse, o esclusi’. L’ansia di tenere sotto controllo quello che accade nel mondo virtuale spinge la persona a passare moltissimo tempo online, soprattutto sui social network. Cosa sta accadendo in questo momento? E se fosse appena successo qualcosa di imperdibile? Meglio dare un’occhiata per vedere se ci sono delle notifiche. E se ne vanno le ore. Non è tutto: se l’ansia da ipercontrollo prende il sopravvento si trasforma in disturbo dell’iperconnessione. Vediamo cosa spinge le persone a immergersi nell’internet e averne sempre più bisogno.
Socialità: il bisogno primordiale di appartenere a un gruppo
La socialità ha permesso alla nostra specie di migliorare la qualità della propria vita. Chi apparteneva a un gruppo riusciva con più facilità a cacciare prede più grandi, difendersi dai nemici, trovare un partner per riprodursi. Allo stesso modo, nell’ecosistema digitale: riusciamo a simulare le relazioni interpersonali; conosciamo persone nuove; abbiamo accesso – anche – a dei contenuti di valore che ci risolvono dei problemi. Quindi, siamo sempre connesse e connessi perché la tecnologia ha capito come nutrire il nostro bisogno di appartenenza.
Reazioni, condivisioni, visualizzazioni: la vertigine del newsfeed
Ricevere un Mi Piace, un commento positivo, un’emoticon o una gif di apprezzamento ci gratifica. Il consenso ci fa sentire gratificate e gratificati, accettate e accettati, ci conferma che facciamo parte di un gruppo.
Sappiamo come funzionano le piattaforme social, eppure ci caschiamo ogni volta. Perché? Una delle strategie più efficaci che adottano i social media per tenerci impigliate e impigliati nella rete è quello della randomizzazione delle ricompense. Se un’azione riceve un premio le persone sono spinte a reiterarla per ricevere più premi. Ma c’è dell’altro.
La variabile che trasforma questo meccanismo di dipendenza in una spirale infinita è la randomizzazione, cioè la casualità. Non sappiamo quando e se riceveremo delle notifiche per qualcosa che abbiamo pubblicato online, ed è questa incertezza a spingerci a ritornare sulla piattaforma con più frequenza. Gli algoritmi dei social media usano questo meccanismo a proprio vantaggio. Facciamo un esempio: la nostra pagina home di Facebook o di Instagram non ci propongono solo contenuti di nostro interesse, piuttosto li alternano con altri meno interessanti. L’elemento impredicibile, casuale, cattura la nostra curiosità e ci spinge a scorrere la pagina del feed per un tempo prolungato. E il tempo è denaro.
È proprio il nostro tempo la moneta di scambio più preziosa per le piattaforme: dice loro dei nostri interessi, comportamenti, e permette loro di personalizzare la pubblicità da proporci.
La FoMO riguarda chiunque, dagli adolescenti agli adulti
Qualcuno avrà apprezzato il nostro ultimo reel su Instagram? Quanti like su Facebook? Quante view su TikTok? Almeno una volta abbiamo formulato un pensiero del genere.
Il fenomeno è trasversale e riguarda tutte e tutti. Guardiamo i dati del Global Digital Report 2022 stilato da We Are Social:
• In Italia ci sono 60,32 milioni di persone
• 50,85 milioni usano internet (cioè l’84,3% della popolazione)
• 43,20 milioni sono attive sui social media (71,6% della popolazione)
• Il 97,3% della popolazione possiede uno smartphone.
Ogni giorno spendiamo 6 ore e 9’ in internet, di cui 1 ora e 47’ sui social e 1 ora e 22’ tra giornali online e cartacei. Insomma, passiamo un quarto della nostra giornata connessi alla rete, e lo facciamo perché cerchiamo: informazioni; notizie ed eventi; istruzioni su “come fare per…”; rimanere in contatto con amici e familiari; e molto altro. Noi crediamo di avere tutto sotto controllo, invece sono altri ad avere noi sotto controllo.
Non solo FoMO: la nomophobia
Se la qualità della nostra vita è insoddisfacente e influisce sul nostro umore, siamo noi le persone più esposte alla FoMO. Le difficoltà nel soddisfare i nostri bisogni relazionali, di autonomia e di competenza ci spingono a fare un uso smoderato dei social network. Inoltre, la sola paura di un’eventuale disconnessione crea una relazione ancora più morbosa con il mondo virtuale.
Se in Italia ogni persona ha uno smartphone significa che lo strumento è percepito come indispensabile. E se non potessimo usarlo? Se il segnale fosse assente per un tempo prolungato? La nomophobia è la paura di non poter usare lo smartphone, è simile alla FoMO ma ha un aspetto peculiare che la contraddistingue. Da una parte, la paura nasce dal mollare la presa dal mondo virtuale (quello che accade con la FoMO). Dall’altra, la nomophobia è una fobia situazionale, perché legata alla presenza o all’inservibilità solo dello smartphone.
Il sovrautilizzo della tecnologia pregiudica il benessere psicosociale
La sovrabbondanza di interazioni sociali virtuali a cui siamo esposte ed esposti genera dipendenza. Al pari di ogni altra dipendenza, la mancanza improvvisa di ciò che ci gratifica genera delle crisi di astinenza che si manifestano attraverso: nervosismo, sbalzi d’umore, ansia, sintomi depressivi, disturbi del ciclo sonno-veglia. Inoltre, trascorrere la giornata online rappresenta un serio rischio di doomscrolling.
La consulenza di uno psicoterapeuta fornisce un prezioso aiuto per imparare a prendersi cura dei propri bisogni. Ascoltarsi e scegliere la propria strada, piuttosto che affannarsi dietro agli argomenti di tendenza.