Fame nervosa da stress lavorativo: quando si presenta e come riconoscerla

Quante volte ti ritrovi alla ricerca di qualcosa da piluccare? Da quanto tempo sono aumentate le porzioni che mangi a tavola? Quanto pesano i generi alimentari nella tua economia domestica? Se queste domande non ti lasciano indifferente; se la situazione che vivi sul posto di lavoro non è una passeggiata di salute, allora stai vivendo un periodo di stress lavorativo che ti spinge a mangiare di più.
Quattro segnali di stress: mal di testa, insonnia, inappetenza o ricerca costante di cibo
Alcuni segnali facili da riconoscere sono il soffrire di mal di testa sempre più spesso; avere difficoltà a addormentarsi; sentirsi intorpiditi e stanchi durante il giorno. Inoltre, potremmo fare i conti con dei cambiamenti relativi all’appetito. In questo caso è probabile che le nuove abitudini alimentari prendano due direzioni contrapposte: da una parte l’inappetenza, cioè la perdita di appetito; dall’altra la ricerca di comfort food (‘cibo consolatorio’, che spesso consiste in qualcosa di ipercalorico come cioccolata, merendine o altri prodotti confezionati).
L’ambiente di lavoro e i problemi quotidiani influenzano il sistema neuroendocrino
Mangiare per motivi psicologici piuttosto che fisiologici ha delle conseguenze già nel breve periodo. Preferiamo alimenti gustosi, ricchi di zuccheri e grassi, spinti da un meccanismo di ricompensa, noncuranti delle calorie in eccesso. Senza rendercene conto lo stress influenza le risposte autonome e neuroendocrine dell’organismo. Noi, in modo più o meno inconsapevole, cominciamo a cambiare i nostri comportamenti in materia di salute.
I sintomi dello stress lavorativo sono subdoli e si accumulano nel tempo
Le tensioni accumulate sul lavoro portano a un progressivo cambio di alimentazione. Un disagio che non fa distinzione di genere, ma si accentua tra coloro che non si sentono gratificati dalla propria professione, o dal luogo in cui la svolgono. Le principali diseguaglianze tra colleghi e colleghe riguardano le disparità di trattamento e di salario, il mancato riconoscimento dei propri traguardi e l’impossibilità di fare carriera. E questi non sono che alcuni dei fattori lavorativi portatori di stress.
Maggiore è l’infelicità sul lavoro, più forte sarà la risposta con un disturbo di fame nervosa da stress lavorativo.
Il ruolo all’interno delle gerarchie aziendali è in grado di predire quale deriva subirà l’alimentazione
Un altro fattore da considerare è l’incarico ricoperto all’interno dell’azienda, o dell’istituzione. A una posizione di vertice corrisponderanno maggiori responsabilità, quindi è molto probabile che si incorra in un disturbo alimentare. Anche chi occupa le posizioni minori non è esente da certi disturbi, ma risponde diversamente. Infatti, una persona che occupa un livello senior in ambito lavorativo sarà più soggetta alle abbuffate; invece, chi riveste un profilo minore, come tirocinante o junior, farà più ricorso al cibo spazzatura ricco di zuccheri.
Un’alimentazione sregolata porta all’aumento di peso
Che ci si sfoghi con le abbuffate o con le merendine, l’aumento di peso è la conseguenza del cambio di abitudine alimentare. Osserviamo come chi riveste un ruolo di prestigio tende ad ingrassare di più di un’impiegata, o un impiegato, stressati. Se la cavano meglio le dipendenti e i dipendenti che non risentono della pressione sul lavoro. Ma parliamo di una percentuale molto bassa.
Accanirsi sull’alimentazione è un meccanismo di difesa. Costoso.
Passare più tempo con il cibo è un costo che pesa sul bilancio familiare. Chi soffre lo stress sul lavoro ogni anno spende tra i 400 e gli 800 euro in più in generi alimentari. Per chi è inquadrato come lavoratore non qualificato significa quasi una mensilità. Buona parte di questo importo se ne va in fast food e merendine.
Fare i conti con una classe lavorativa stressata non conviene nemmeno allo Stato. Nel Regno Unito si stima che lo stress lavorativo costi il 10% del Prodotto interno lordo.
Poiché molti adulti spendono buona parte della loro giornata sul posto di lavoro, è lì che consumeranno almeno un pasto ogni giorno. Ecco perché è auspicabile un ambiente lavorativo salutare, specie per chi fa un lavoro sedentario. Contrastare il rischio di obesità tra gli impiegati significa, in termini economici, ridurre il rischio di malattia, l’assenteismo, quindi aumentare la produttività.
La persona è consapevole di non avere una sana alimentazione, ma non può farne a meno.
Sappiamo che non dovremmo abusare di alimenti contenenti zuccheri, eppure continuiamo a cercarli per alleviare la nostra frustrazione. Essere consapevoli di compiere una ripetuta trasgressione indica, peraltro, l’essere demotivati a mangiare in modo salutare. Se prendiamo come riferimento due persone che fanno lo stesso lavoro, una stressata e l’altra no, quella stressata avrà il doppio delle probabilità di seguire una cattiva alimentazione. In questi casi le giustificazioni addotte sono la mancanza di tempo per cucinare; il proprio stato emotivo; la preferenza per qualcosa di semipronto, veloce e facile da preparare.
Avere un buon equilibrio tra vita privata e lavoro si riflette nel modo in cui mangiamo.
Un eccessivo carico di stress farà aumentare le spese alimentari, e peggiorerà il nostro benessere fisico ed emotivo. Le ricadute sulla salute sono l’aumento di peso, il rischio di obesità, il diabete e gli attacchi di cuore.
I fattori che influenzano l’appetito sono molteplici. Siano essi esterni o interni avranno un impatto di lungo periodo sul controllo del peso corporeo. La consulenza di uno psicologo esperto in fame nervosa è di grande aiuto per adottare un comportamento a vantaggio della propria salute.