Fame nervosa: consolarsi o stordirsi?

Fame nervosa: cosa è
La fame nervosa è una sensazione – generalmente spiacevole – avvertita da una persona come un forte impulso a ingerire del cibo. Lo scopo è quello di placare il disagio possibilmente senza esplorarlo o esprimerlo. Tuttavia, il bisogno effettivo non è quello di soddisfare una fame “reale”. In altre parole, quella che è avvertita soggettivamente come fame non ha nulla a che vedere con il bisogno alimentare. Una riprova di questo consiste nelle emozioni generalmente spiacevoli che seguono l’ingestione: vergogna, senso di colpa, vissuti depressivi di inefficacia e incapacità.
Il fenomeno della fame nervosa riguarda un numero crescente di persone. Di queste, la grande maggioranza soffre o ha sofferto di un disturbo del comportamento alimentare più o meno riconosciuto o curato. Tuttavia, sono sempre di più le persone che sviluppano sintomi di fame nervosa in risposta ad un disagio emotivo, pur non soffrendo di un disturbo alimentare chiaramente riconoscibile o diagnosticabile.
Basso costo, nessun rischio
La pratica di utilizzare il cibo come sedativo è fondata sul ritenere “gratificante” l’ingestione incontrollata di alimenti. Quasi sempre chi soffre di fame nervosa giustifica la necessità delle abbuffate o degli eccessi con il bisogno di consolazione o gratificazione. Di solito si tratta di cibi altamente calorici, grassi e di nessun valore nutrizionale. La gratificazione è, in genere, legata unicamente al sapore immediato, quello che si avverte appena il cibo è introdotto in bocca. Quasi sempre si tratta di sapori che si sprigionano immediatamente, intensi e pieni, ma “piatti”, per nulla articolati, senza alcuna complessità. In altre parole, si tratta di sapori definibili come mediocri e banali: piacciono a quasi tutti e non riservano sorprese, nel bene o nel male. In questo senso sono sicuri e affidabili. Oltre ad essere, in genere, a basso o bassissimo costo.
Gratificati e depressi?
Ma ingoiare cibo dolce o grasso per consolarsi è davvero gratificante? La persona che ha fatto un’abbuffata di caramelle o di cioccolatini – per esempio – dopo si sente gratificata o consolata o tranquillizzata? La gratificazione è una sensazione di soddisfazione e di piacere, un vissuto di appagamento interiore. Nulla di più lontano da quello che, di solito, accade ad una persona che soffre di fame nervosa. Nervosismo, senso di colpa, vergogna, autoaccuse, denigrazione di sé. Se la gratificazione è del palato – ed è opinabile – tutto il resto della persona attraversa un’esperienza che è davvero difficile definire piacevole.
Grazie alle tante persone che ho incontrato lungo la mia pratica clinica, ho avuto modo di osservare nella quasi totalità dei casi una prolungata insoddisfazione in seguito all’assunzione incontrollata di cibo e un vissuto quasi sempre depressivo o di disperazione. La sensazione prevalente è quella di non riuscire a fermarsi, di dover portare a termine, in ogni modo, la “gratificazione”. Ma è davvero tale? Come è possibile chiamare “gratificante” un atto che, al termine, ci lascia il più delle volte insoddisfatti, depressi, avviliti?
Storditi di cibo
La realtà è probabilmente un’altra. L’assunzione incontrollata di cibo per placare la fame nervosa, sembra essere più uno “stordimento” che una gratificazione. In altre parole, assomiglia più al provocarsi uno stato sedativo e confusionale che ad una condizione di vero e proprio piacere. Questo è dovuto al fatto che lo scopo non è il reale godimento di qualcosa, ma, piuttosto, l’allontanamento da qualcosa di spiacevole. Cercare il piacere o allontanarsi dal dolore non sono affatto la stessa cosa: cambiano la motivazione e lo scopo di ciò che facciamo. L’assunzione incontrollata di cibo è il mezzo più facile e più a portata di mano per soffocare pensieri e sensazioni dolorose e indesiderate. L’efficacia è del tutto provvisioria e l’insoddisfazione è solo momentaneamente sopita. Una volta che il meccanismo si innesca è molto difficile arrestarlo e le emozioni si fanno sempre più spiacevoli e dolorose.
Il processo di cura
Curare la fame nervosa significa, soprattutto, recuperare il rapporto con il piacere e con il proprio benessere interiore. Il primo passo è quello di imparare a riconoscere i propri stati emotivi e affettivi. Quasi mai le persone che soffrono di fame nervosa hanno chiare le proprie emozioni e i propri vissuti. Fatto ciò, comincia a diventare molto più semplice il fare gradualmente pulizia di ciò che intossica nella vita, al di là del cibo. È così possibile iniziare a dedicarsi con impegno e cura a ciò che dà valore alla propria esistenza quotidiana. Il punto focale non è cercare di riempire vuoti, ma costruire risorse e possibilità che ne limitino al massimo l’importanza e l’invadenza nella vita.
Si pensa spesso che tutto ciò sia molto difficile e che richieda uno sforzo importante. In genere, alle persone che avanzano questa obiezione rispondo che ciò che è difficile ed enormemente faticoso è vivere con il sintomo, portarselo addosso tutti i giorni, soffrire dalla mattina alla sera senza riuscire ad immaginare una soluzione che sia reale e non l’ennesimo autoinganno. Uscirne, al contrario, è certamente impegnativo, ma molto meno faticoso. Ed è nella differenza tra l’impegno e la fatica – una differenza per nulla sottile – che si apre la possibilità di un senso e di un orizzonte diverso per la propria esistenza.
A partire dalla fine di settembre ripartiranno i gruppi di sostegno e terapia per persone affette da disturbi alimentari, fame nervosa, obesità. Il gruppo è per se stesso una risorsa importante per affrontare un problema che in genere viene vissuto in solitudine, con vergogna e grande disagio. Scoprire di non essere soli, condividere problemi e risorse, lavorare su di sé insieme a chi può comprendere perché vive il medesimo disagio. Tutto questo è, già di per se, terapeutico e curativo.