Emotional eating: perché non devi associare il cibo alle emozioni

Dobbiamo consegnare dei documenti entro stasera, mancano poche ore, prima però facciamo una sosta davanti alla credenza. Quello che c’è, c’è, dolce o salato? Va bene tutto, mandiamo giù. Passa mezz’ora e quello strano appetito ritorna. Come mai? Stiamo vivendo un episodio di emotional eating, cioè ‘fame nervosa’. Vediamo di cosa si tratta e perché dobbiamo riconoscerla.
Come riconoscere la fame nervosa
La fame nervosa ci spinge a mangiare in assenza di appetito, per rispondere a dei sentimenti negativi momentanei. Sebbene non siamo davanti alle abbuffate di chi soffre di Binge eating (‘disturbo da alimentazione incontrollata’), si tratta di episodi che possono pregiudicare il nostro benessere psicofisico.
Se lo stomaco non brontola, non è vera fame. Ci aggrappiamo al cibo per riceverne conforto: per sedarci quando affrontiamo una situazione stressante; o per distoglierci dalla noia, un tempo vuoto che non sappiamo sostenere e decidiamo di riempire. Il frigorifero diventa la prima ancora di salvezza fuori dalla nostra zona di comfort, malgrado faccia affondare i tentativi di controllare il nostro peso.
Un attimo prima avevamo un compito da svolgere, un attimo dopo abbiamo la bocca piena di patatine, biscotti, pizza, cioccolata. E non ce ne siamo nemmeno accorti. Il primo esercizio da fare su di noi è rievocare cosa stavamo facendo o pensando; e con quale stato d’animo lo stavamo affrontando. Infatti, le emozioni negative più comuni che innescano la fame nervosa sono:
- lo stress
- la paura
- la rabbia
- la noia
- la tristezza
- la solitudine.
Una volta riconosciuta l’emozione che stavamo vivendo, ancoriamola al fattore che l’aveva scatenata. In futuro sapremo riconoscere le situazioni che ci destabilizzano, e di conseguenza le emozioni sabotanti che ci spingono nelle fauci, le nostre, gli alimenti ipercalorici. Le situazioni destabilizzanti variano in base alla persona e ai contesti, ma quelle più ricorrenti sono:
- le relazioni conflittuali
- i problemi al lavoro, o a scuola
- la stanchezza
- le difficoltà economiche
- i problemi di salute.
Alziamo la guardia se osserviamo una certa ricorsività tra situazione, emozione e comportamento alimentare. In questo modello il cibo assume il ruolo di una cura, di anestetico utile ad affrontare o evitare la situazione che ci destabilizza. Un comportamento simile è nocivo per il nostro benessere psicofisico per tre motivi:
- dà inizio a una cattiva abitudine alimentare;
- procura un sollievo momentaneo;
- alimenta i sensi di colpa per l’abbuffata.
Per non rimanere imbrigliati nella rete della fame nervosa, impegniamoci ad allontanare il cibo dalla nostra mente. Come?
Proviamo a mettere in pratica questi consigli
- Scriviamo tutto. Annotiamo su un diario alimentare cosa mangiamo, quando, la quantità e lo stato d’animo di quel momento. Questo esercizio ci darà una mappatura generale di come le varie emozioni ci mettano un finto appetito.
- L’attività fisica per sfogarsi fa bene, però impariamo anche a respirare. Attività come lo yoga, il pilates o la meditazione aiutano a rimettersi in contatto con il proprio corpo.
- Usiamo la noia per dedicarci a qualcosa che ci piace: passeggiare, ascoltare la musica, leggere o chiacchierare.
- Via le tentazioni. Stiamo alla larga dal frigorifero e dal cibo di conforto a cui potremmo cedere nei momenti di crisi.
- Facciamo in modo di mangiare cibi sani e nutrienti, ma non fissiamoci sempre sugli stessi.
- Un passo falso ogni tanto ci può stare, non facciamone un dramma. Cerchiamo di capire cosa ci abbia spinti a cedere alla fame nervosa e impariamo da quell’esperienza per non ripeterla.
Un attacco di fame è un segnale da non sottovalutare
La fame nervosa può essere il sintomo di disturbi come la depressione, la bulimia o il disturbo da alimentazione incontrollata. Inoltre, se ci allontaniamo da una dieta sana, in futuro potremmo fare i conti con una patologia come l’obesità. Il percorso di guarigione da un disturbo alimentare richiede impegno e tempo, ma perché aspettare che la nostra condizione peggiori prima di agire?
Se abbiamo il dubbio che qualcosa non vada, chiediamo alle persone che abbiamo intorno di osservarci: come ci comportiamo quando mangiamo? Qual è il nostro stato d’animo? Se da più parti ci fanno notare qualcosa di sospetto, prendiamo in considerazione la consulenza di uno psicologo. Il percorso di psicoterapia ci aiuterà a rispondere in modo adeguato alle situazioni di stress, e a riconoscere quando il nostro appetito è autentico.