Cos’è la fiducia in psicologia

Nella lingua italiana la parola fiducia indica il “convincimento che qualcosa o qualcuno corrisponda alle proprie aspettative”. Siamo in presenza di un legame “motivato da una vera o presunta affinità elettiva o da uno sperimentato margine di garanzia” (fonte: vocabolario Nuovo Devoto-Oli). Infatti, ci rivolgiamo a dei professionisti di fiducia quando vogliamo affidare un compito che consideriamo delicato e importante. Cosa implica questo legame in psicologia?
La fiducia si sviluppa nella prima infanzia
I primi anni di vita sono cruciali per lo sviluppo della fiducia. In questo arco temporale il nostro cervello assorbe moltissime informazioni, il corpo si trasforma, il bambino è nel primo stato di sviluppo psicosociale. Secondo Erik Erikson durante la prima infanzia il neonato riesce a percepire sé stesso attraverso il comportamento dei genitori. La madre ha un ruolo decisivo poiché soddisfa i suoi bisogni primari; dal successo del rapporto di accudimento dipenderà lo sviluppo del sentimento di fiducia verso gli altri. Se osserviamo il comportamento degli adulti, notiamo che il successo porta con sé un arricchimento in termini di autostima e ottimismo. Viceversa, coloro che fanno i conti con gli insuccessi sono condizionati dall’insicurezza e dalla sfiducia.
Predice il benessere personale e la qualità delle relazioni
Se vogliamo convincere qualcuno a fare qualcosa, sarà necessario che si fidi di noi. La nostra influenza sociale si rifletterà nel numero delle persone che accetteranno i nostri comportamenti, le nostre decisioni. Per far sì che questo accada, dovremo trasmettere onestà, competenza e condividere gli stessi valori. Questi tre elementi spingeranno l’altro a fare delle inferenze sui nostri comportamenti, a nutrire delle aspettative, a crederci sulla parola, insomma a fidarsi. Quando la relazione raggiunge questo livello di complicità, starà a noi nutrirla per proteggerla e renderla duratura nel tempo. Abbiamo lavorato duramente per ottenere la stima di una persona; ora l’unico modo che abbiamo per alimentarla è continuare ad agire con onestà, competenza, e a proteggere i valori condivisi.
Se è scarsa scoraggia l’impegno
Quando tra colleghe e colleghi non aleggia un clima di solidarietà è probabile che l’azienda non raggiunga i risultati prefissati. L’argomento è scomodo da ammettere e da affrontare: se faremo finta che il problema non esista, non sapremo spiegarci il perché dei malfunzionamenti, delle non comunicazioni o dei ritardi nelle consegne. Al contrario, se le figure al vertice investissero e promuovessero in prima persona un clima di reciprocità e collaborazione autentiche, il luogo di lavoro vedrebbe migliorare lo scambio di informazioni e lo spirito di gruppo.
Cede alla seduzione dell’apparenza
E cade in inganno. È l’approccio dell’identità sociale a mettere in luce questo aspetto insidioso. Infatti, i gruppi sociali nascono quando i propri membri sentono di appartenere a una categoria comune. Quindi, la propensione a fidarsi o meno dell’altro scaturirebbe dall’identificazione negli stessi valori, perciò dall’appartenenza allo stesso gruppo sociale. Aspetto non di poco conto, poiché specie all’inizio di un rapporto le persone si lasciano guidare dalle apparenze.
Cosa ci ricordiamo di una persona che abbiamo conosciuto da poco? È probabile che le nostre prime impressioni si soffermino sull’aspetto esteriore, sul modo di parlare, sui comportamenti. Riconoscere a una persona lo status di membro interno o esterno alla nostra cerchia di riferimento fa sì che le attribuiamo caratteristiche comportamentali ipotetiche. Sarà solo l’esperienza a guidarci in un consapevole processo conoscitivo, ma intanto ci affidiamo alle prime impressioni, al comune sentire, agli stereotipi.
Malgrado sia sgradevole ammetterlo, ci aspettiamo un trattamento migliore nei nostri confronti dai membri della comunità di appartenenza. Di conseguenza, anche la nostra fiducia sarà riposta più volentieri in qualcuno con cui ci identifichiamo, piuttosto che in uno sconosciuto. In psicologia questa dinamica viene definita con l’opposizione tra in-group e out-group: il primo è quello di cui facciamo parte; il secondo è formato dalle persone che non fanno parte della nostra cerchia, o più in generale della nostra comunità.
Spinge ad agire in mancanza di informazioni
Fidarsi vuol dire affrontare l’incerto senza il conforto di tutti i ragionamenti razionali di cui avremmo bisogno, è un abbandonarsi all’altro. Confidare nel comportamento di chi non conosciamo comporta un rischio: facciamo bene ad affidare a una persona il nostro tempo, le nostre risorse? A priori non possiamo saperlo, anche perché ci sarà sempre uno scarto temporale tra il momento in cui ci fidiamo e quello in cui potremo constatare il raggiungimento o meno delle nostre aspettative. Sebbene sia spiacevole, riusciremo a soprassedere quando la fiducia si rivelerà malriposta per una mancanza di competenza dall’altra parte. Tuttavia, qualora l’obiettivo venisse compromesso a causa di un’azione disonesta, è quasi certo che la relazione vada ricostruita da capo.
Fidarsi è necessario
Non possiamo vivere nell’eterno sospetto che qualcuno disattenda le nostre aspettative. Possiamo essere cauti, e caute, agire con circospezione, ma arriverà il momento in cui dovremo delegare a qualcuno qualcosa di cui non possiamo occuparci. La nostra consapevolezza potrà tenerci al riparo da errori di valutazione con un certo margine, ma non potrà mai darci la certezza. Se il pensiero di chiedere l’aiuto di qualcuno ti blocca, concediti ancora una possibilità e rivolgiti a uno psicoterapeuta a Roma. La consulenza di uno specialista saprà darti il giusto ascolto di cui hai bisogno, per lavorare sulle tue insicurezze e tornare a fidarti delle tue capacità e delle persone che hai intorno.