Cos’è il delirio di Capgras e come può aiutarti lo psicologo

Il delirio di Capgras è una rara malattia psichiatrica che porta la persona a disconoscere la propria identità o quella delle persone a lei familiari. Dunque, siamo in presenza di una sindrome delirante da errata identificazione di sé o degli altri. La sensazione di estraneità viene corroborata da prove pretestuose, con l’intento di dimostrare che chi si ha davanti parli o si comporti in modo simile, ma diverso, rispetto all’originale. Quindi, benché la persona capisca chi ha davanti, nega a sé stessa e all’altro la sua identità. Cosa spinge il nostro cervello ad alterare la nostra percezione sensoriale?
Madame M: il primo caso di diniego delirante delle persone
“Vattene impostore, non sei chi dici di essere!”. Francia, anni Venti del Novecento. La paziente soprannominata Madame M. non riconosce più suo marito, senza un motivo apparente. La trattazione scientifica del tempo non registrava casi del genere. Saranno i medici francesi Jospeph Capgras e Jean Reboul-Lachaux a descrivere e ad attestare per primi la patologia sotto la dicitura “illusion des sosies” (‘illusione dei sosia’), che in seguito prenderà il nome di Capgras (fonte: Capgras J., Reboul-Lachaux J., L’illusion des “sosies” dans un delire systematize chronique, 1923). Al momento della diagnosi Madame M. soffriva di psicosi già da dieci anni, una condizione per cui fu anche ricoverata. Negli anni si scoprirà come la sindrome possa scaturire da almeno tre diversi fattori:
• un disturbo psicotico (la paranoia, il bipolarismo, la schizofrenia);
• un disturbo psichiatrico (la depressione, il disturbo della personalità borderline, i disturbi dell’alimentazione);
• un forte stress.
Come fa il cervello a riconoscere le cose
Il sistema nervoso centrale scansiona le caratteristiche di una persona, un animale o un oggetto familiare, e le invia al sistema nervoso esteso. Questo elabora gli stimoli ricevuti con i dati emotivi a loro associati. Se il meccanismo di riconoscimento non funziona significa che c’è un’interruzione tra il sistema nervoso centrale e quello esteso. Il problema di connessione tra i due sistemi può derivare da una lesione cerebrale vera e propria, oppure dallo sviluppo di una nevrosi.
Ipotesi organiche sull’esistenza dei “doppioni”
Il delirio di Capgras è un disturbo psicotico atipico, correlato a diversi fattori di rischio, dunque è difficile classificarlo in modo netto. Una ricerca condotta negli anni Ottanta dal dott. Berson evidenziò come la sindrome riguardasse pazienti di età diversa, ciascuno con un quadro clinico caratterizzato da malattie sia organiche sia psichiatriche. Tuttavia, la variabile costante era la diagnosi di una schizofrenia paranoide, cioè i pazienti si sentivano minacciati dalle persone a cui erano legati, benché non avessero motivo di provare questo stato d’animo. Inoltre, l’ipotesi che il disturbo nascesse da cause organiche divideva gli studiosi. Tra quelli che le ricusavano figurava proprio Berson, secondo cui i fattori organici non erano sufficienti a giustificare il delirio.
Del resto “la sindrome non è un disturbo percettivo, poiché i pazienti riconoscono correttamente e credono nella genuinità della maggior parte delle persone presenti nel loro ambiente, riservando il misconoscimento delirante a persone affettivamente significative nella loro vita, come genitori, coniugi, figli, ecc. La sindrome non è un problema di memoria o di disorientamento, poiché i pazienti non hanno difficoltà a richiamare l’immagine di quelli di cui contestano l’identità e il delirio si verifica più spesso in pazienti pienamente orientati senza problematiche del sensorio […] Il problema consiste in un diniego delirante dell’autenticità dell’identità di una persona chiaramente riconosciuta” (fonte: Bianchi A., Cocanari de’ Fornari M.A., Fiori Nastro P., Rusconi A.C., Carlone C., Biondi M., La sindrome di Capgras: cenni storici, aspetti psicopatologici, psicorganici e psicofunzionali. Journal of Psychopathology 2012).
Un’ipotesi psicodinamica: la psicosi risponde all’ambivalenza
Tra le pubblicazioni scientifiche della seconda metà del Novecento ce ne sono almeno tre che fanno perno sul concetto di ambivalenza. La ricerca del dott. Todd sosteneva la necessità di 3 fattori necessari affinché la psicosi si presentasse:
1) la regressione psicotica a un pensiero primitivo;
2) uno stato paranoide;
3) una marcata ambivalenza.
Quest’ultimo aspetto lo ritroviamo anche negli studi del dott. Enoch. Infatti, l’ambivalenza permetterebbe di esprimere l’ostilità senza incorrere nel senso di colpa causato dall’esternazione negativa verso il presunto sosia.
Infine, gli studiosi Arieti e Bemporad ricondussero la sindrome a una soluzione infantile dell’ambivalenza: il genitore viene scisso in immagini buone e cattive. Ci addentriamo così nel territorio degli stati di sviluppo e alle frustrazioni subite nella prima infanzia. “Nella sindrome di Capgras le rappresentazioni dell’oggetto internalizzato sarebbero scisse in “buone” (consce) e “cattive” (inconsce).
Queste immagini persistono finché un evento nelle relazioni interpersonali provoca un importante cambiamento affettivo. Sentimenti prima repressi diventerebbero consapevoli, emergerebbero le immagini “cattive” e il paziente comincerebbe ad affermare che una persona affettivamente significativa non è quello che sembra ma un sosia” (fonte: Bianchi A. et al., cit.). Per concludere con il pensiero di Berson, sarebbe utile indagare la storia psichica del paziente. Infatti, se riuscissimo a far rievocare i problemi affrontati nei primi anni di vita, potremmo istituire dei nessi con ciò potrebbe aver portato allo sviluppo del delirio.
Accompagnare al riconoscimento con la psicoterapia
Convincere qualcuno che le proprie convinzioni sono errate è controproducente. La consulenza di uno psicoterapeuta può fornire gli strumenti per gestire questa condizione. Attraverso la terapia familiare il paziente e i suoi affetti si adopereranno per imparare ad affrontare la falsa credenza e tornare a fidarsi