Cosa vuol dire zona di comfort o comfort zone

Ci sono persone che danno l’impressione di poter fare qualsiasi cosa. Per loro non c’è differenza tra un viaggio improvvisato, trasferirsi per lavoro o ordinare un caffè al bar. Non temono l’incertezza, o meglio, non hanno bisogno di conoscere tutti i dettagli prima di prendere una decisione. Altre persone, invece, prima di uscire alla scoperta dell’ignoto ci pensano, ci ripensano e non è detto che alla fine escano dal proprio recinto. I profili che abbiamo tracciato sono forse quelli degli impavidi VS timorosi? Oppure incoscienti VS cauti? No, si tratta piuttosto di persone che vivono in modo diverso la propria zona di comfort. Uscirne a tutti i costi non è sempre un bene, vediamo perché.
La comfort zone finisce dove cominciano l’ansia e lo stress
“Comfort: ciò che concorre a rendere agevole e comoda la vita quotidiana” (vocabolario Devoto-Oli). Definiamo zona di comfort lo stato d’animo in cui la persona si sente quando abita un ambiente familiare, ha il controllo (benché solo illusorio) di ciò che la circonda. Di conseguenza, l’ansia e lo stress sono minimi e la persona si sente a proprio agio. Tuttavia, la zona di comfort ha dei confini labili, soggettivi e irregolari. Labili, perché se accadesse un imprevisto, una sfera della nostra vita che era sotto controllo finirebbe nel caos. Ciò che prima rappresentava un luogo rigenerante, ora è fonte di stress. Non tutti però sono sensibili e vulnerabili allo stesso modo, alcuni sostengono la pressione più di altri, ecco perché i confini della comfort zone sono soggettivi. Infine, il perimetro che la comfort zone traccia intorno a ognuno di noi è irregolare, perché alcuni si rigenerano insieme alla propria famiglia, altri con un libro e il proprio gatto, altri ancora al lavoro con i colleghi.
Al contrario, se in una situazione ci sentiamo vulnerabili, a disagio, in ansia, significa che abbiamo varcato i confini della nostra zona di comfort. L’ansia e lo stress sono i segnali più facili da ascoltare per capire che qualcosa intorno a noi è cambiato. Il nostro corpo si sente minacciato, siamo spaventati.
A seconda di quanto ci sentiamo in pericolo accadono due cose:
- Le nostre prestazioni migliorano. La pressione aumenta quel tanto che basta per spronarci a essere intraprendenti, o a non demordere. Benché siamo fuori dalla nostra zona di comfort, lo stress ci spinge a dare qualcosa in più.
- Le nostre prestazioni peggiorano. Un po’ di pressione ci aiuta, troppa ci paralizza. Se l’ansia eccede un livello che possiamo controllare, la qualità del nostro lavoro sarà la peggiore in assoluto. Pensiamo alle icone dello sport che purtroppo falliscono un appuntamento sportivo molto importante. Succede.
A questo punto che fare?
Fin qui abbiamo sottolineato quanto la zona di comfort sia soggettiva. Aggiungiamo la variabile consapevolezza. Non tutte le persone sono consapevoli di quanta pressione siano in grado di sostenere. Alcune si “ritrovano” dentro labirinti da cui non sanno uscire; altre sperimentano una volta e non lo faranno mai più per non riprovare quello spavento. Quindi, cosa fare? Non possiamo delegare ad altri questa domanda, impariamo piuttosto a essere responsabili di noi stessi.
Perché dovremmo uscire dalla nostra zona di comfort?
Prima di tutto, per darci un’opportunità di crescita. Mettersi alla prova, misurarsi con ciò che non si padroneggia, implica un’esplorazione non solo del mondo esterno, ma anche interiore. Attraverso l’esperienza la persona si conosce, fa i conti con sé stessa, riconosce i propri limiti e impara ad accettarsi. Inoltre, sarà sempre secondo la propria coscienza che la persona deciderà di spingersi ancora più in là, oppure di farsi bastare quello che è. In secondo luogo, quando ci allontaniamo da ciò che abbiamo sempre fatto abbiamo l’opportunità di scoprire dei lati di noi che non conoscevamo: delle passioni che non credevamo di avere, dei talenti che non sospettavamo di possedere. Terzo e ultimo motivo, se ci lasciamo alle spalle l’appuntamento con gli amici alla solita ora, per andare al cinema da soli quando nessuno vuole venire; o se ci iscriviamo a un corso di qualsiasi tipo, anche solo per vedere com’è, di sicuro non avremo rimpianti e magari allargheremo la cerchia dei nostri contatti.
E se rimanere nella propria zona di comfort fosse la cosa giusta?
Ancora una volta sarà la consapevolezza a orientarci. È la persona a doversi sentire pronta per intraprendere un’azione. La consulenza di uno psicoterapeuta è un percorso che accompagna il paziente a indagare le proprie paure, capire cosa lo faccia sentire minacciato, o minacciata. Se il paziente, o la paziente, non se la sente di abbandonarsi a una decisione, se resta avvinghiato alle proprie certezze, significa che quello non è il momento. Se la persona non è ancora pronta a prendere una decisione, è sano non farlo. La guida di uno psicologo è un valido ausilio per ridimensionare le proprie paure; elaborare un cambiamento e, anziché lanciarsi in grandi progetti che travalicano i propri limiti, procedere un passo alla volta.
In fondo, se c’è un rischio legato alla routine è quello di dipenderne al punto tale da non poterne rinunciare. C’è un aforisma attribuito ad Annibale, il generale cartaginese, che mi sembra appropriato per dare l’abbrivo alla propria vita e prendere il largo: “O troverò una strada, o ne costruirò una”. Prendiamoci la responsabilità di decidere se, come, quando e quanto cambiare la nostra vita.