Cosa vuol dire JOMO

JoMO è l’acronimo inglese che sta per “Joy Of Missing Out”, cioè ‘gioia di perdersi qualcosa’. Il Collins English Dictionary definisce la JoMO come ‘il piacere di godersi le proprie attività, senza preoccuparsi del fatto che altre persone abbiano una vita più soddisfacente’. Dunque, stiamo parlando di un’attitudine che invita a godersi il presente.
JoMO VS FoMO: gioie e dolori nel perdersi qualcosa
Gli acronimi che mutuiamo dall’inglese attecchiscono nel nostro uso linguistico per un certo tempo, non sappiamo a priori per quanto, ma finché dovremo conviverci usiamoli in modo appropriato. La JoMO è concentrata su cosa stiamo facendo qui e ora; invece la FoMO è proiettata sull’eventualità che ci sia qualcosa di imperdibile da qualche altra parte. Quindi, se ponessimo sullo stesso asse la JoMO e la FoMo, queste sarebbero agli antipodi.
Quando nasce l’espressione JoMO
Sembra che la prima attestazione della parola sia dovuta allo scrittore Anil Dash. Nel 2011, quando nacque suo figlio, Anil trascorse la maggior parte del tempo a casa, disconnesso, senza sentire nessuna mancanza. Lo racconta lui stesso nel suo blog: “Sono stato offline per più di un mese e durante questo periodo non ho quasi controllato nulla online; raramente sono uscito di casa. È stato meraviglioso”. Negli anni Dieci del nostro secolo negli Stati Uniti già si parlava di FoMo, eppure Anil racconta entusiasta del suo stato di gioia, del resto era appena diventato padre.
Già dieci anni fa Anil Dash era consapevole del ruolo giocato dal buon senso nello scegliere come valorizzare il proprio tempo. Dopo tutto, non poteva e non può essere uno schermo o un’applicazione a controllare i nostri legami, le emozioni positive o i sensi di colpa.
Il manifesto JoMO di Christina Crook
Un anno più tardi l’articolo di Dash, la saggista Christina Crook sperimentava una vita offline per un mese intero. Quell’esperienza la porterà alla stesura e alla pubblicazione nel 2015 di The Joy of Missing Out: Finding Balance in a Wired World (‘La gioia di perdersi: trovare l’equilibrio in un mondo cablato’). Il libro analizza l’impatto che la frenesia dell’essere sempre connessi implica sulle nostre vite. Click, segni di spunta, doppia spunta, doppia spunta blu, ansie da visualizzazione e da risposta tempestiva. Crook constata come il nostro benessere psicosociale sia inficiato da una mondo digitale troppo invasivo; dunque avanza una proposta fatta di digiuno digitale e disciplina, per avere un rapporto più equilibrato con la tecnologia. Tra le sue proposte c’è anche un manifesto JoMO con dieci regole basilari:
• chi costruisce comunità: chi conosce i nomi degli altri;
• chi spende bene il proprio tempo: chi vive ogni ora di ogni giorno;
• chi ama sé stesso: chi abbraccia i propri punti di forza e le proprie debolezze;
• chi vive per l’oggi: chi assapora le proprie esperienze;
• chi è grato per ciò che ha: chi non pensa a ciò di cui non ha bisogno;
• chi abbraccia la propria umanità: chi preferisce provare dolore piuttosto che non provare niente;
• chi conosce le vere ricchezze: chi dà valore alla connessione umana sopra ogni cosa;
• chi è coraggioso: chi sceglie l’avventura al posto del rimpianto;
• chi è generoso: chi dà ai suoi cari tutto il suo cuore e la sua attenzione;
• chi ha gioia: chi sceglie l’amore al posto della paura (fonte: jomogoods).
Anche Google ha detto la sua sulla JoMO
Nel 2018, l’attuale Director UX Research Julie H. Aranda e la UX Researcher Safia Baig hanno condotto uno studio qualitativo tra Svizzera e Stati Uniti, per indagare sia l’uso eccessivo dello smartphone, sia una sana esperienza di disconnessione.
“Abbiamo riscontrato poche differenze tra culture, Paesi, sesso, fasce d’età o tipi di dispositivi utilizzati. In tutti i casi, i dispositivi mobili carichi di social media, e-mail e applicazioni di notizie creavano un costante senso di obbligo, generando uno stress personale involontario.”
Niente di più condivisibile. Infatti, se il rapporto con il telefono è sempre più morboso lo dobbiamo a due motivi:
1) è pieno zeppo di applicazioni coinvolgenti, come i social media;
2) rispondere ai messaggi in modo tempestivo è diventato un obbligo sociale.
Quindi, come ne usciamo? Le ricercatrici propongono tre modi per riequilibrare la nostra vita tra online e offline:
• Facilitare la disconnessione.
Cerchiamo le informazioni e gli strumenti che ci rendano consapevoli di come e quanto tempo spendiamo davanti a uno schermo.
• Disincentivare la riconnessione.
Aggiungiamo un timer prima del quale non possiamo riusare certe applicazioni.
• Consentire una disconnessione parziale.
Manteniamo le funzionalità essenziali del telefono, ma limitiamo le altre applicazioni che ci disturbano.
“Nella tecnologia si è insinuato un senso di obbligo. Le persone vogliono strumenti per interromperlo. Vogliono poter mettere da parte il telefono qualche volta, senza preoccuparsi di perdere qualcosa di assolutamente urgente e sentendosi in controllo dell’uso del telefono […] La tecnologia dovrebbe migliorare la vita, invece di distrarla” (fonte: blog.google).
Tornare ad abitare il presente con la psicoterapia
Se non ti stai godendo appieno i momenti più importanti della tua vita, e non riesci a staccarti dal telefono, contatta uno psicoterapeuta per un incontro conoscitivo. Una delle conquiste di un percorso di psicoterapia è proprio il tornare ad apprezzare i gesti e le azioni della nostra quotidianità. Carpe diem dicevano i latini, ‘cogli l’attimo’. Chiamami per una consulenza.