Cosa vuol dire ADHD e quali sono le sue cause

– Facciamo i compiti?
– No.
– Facciamo prima un gioco?
– Va bene. E adesso facciamo un’altra cosa?
– Aspetta, prima finiamo quello che avevamo iniziato.
– Basta, con te non gioco più.
Non sempre è pigrizia e non è detto che siano capricci. L’ADHD è il Disturbo da deficit dell’attenzione con iperattività (deriva dall’acronimo inglese “Attention Deficit Hyperactivity Disorder”). Siamo in presenza di un disordine dello sviluppo neuropsichico del bambino e dell’adolescente, che si manifesta in tre forme cliniche: inattentiva; iperattiva/impulsiva; oppure una combinazione di entrambe. Non è un ritardo mentale, dunque non confondiamolo con un deficit cognitivo; piuttosto è una manifesta difficoltà che la persona incontra nell’autocontrollarsi e nel pianificare le attività da svolgere.
Come riconosco una persona che soffre di ADHD?
Come ogni indagine, per diagnosticare la presenza dell’ADHD bisogna escludere che certi sintomi non afferiscano ad altri problemi. Malgrado la letteratura medica non abbia ancora raggiunto un parere unanime sulle cause univoche, è possibile orientarsi seguendo le indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (nello specifico l’“International Statistical Classification of Diseases and Related Health Problems, ICD-10). Infatti, inattenzione, iperattività/impulsività o una loro combinazione sono le tre modalità attraverso cui si manifesta l’ADHD. Per ogni forma clinica possiamo enucleare una tipologia di sintomi:
• Inattenzione.
La persona ha difficoltà nel portare a termine i compiti che richiedano concentrazione; sembra non ascoltare nulla di quanto gli o le viene detto; si distrae con facilità; ha difficoltà di apprendimento che rischiano di farlo, o di farla, restare indietro rispetto ai compagni di classe (fonte: ISS, Istituto superiore di sanità).
• Iperattività.
In contesti e situazioni che richiederebbero compostezza, la persona è irrequieta. Specie durante l’infanzia, la sua irruenza emerge anche nel modo di giocare e di rapportarsi con i suoi pari.
• Impulsività.
La persona risponde ancor prima che l’interlocutore abbia finito di formulare la domanda; è invadente verso gli altri, sia nelle conversazioni, sia nelle attività ludiche.
L’incidenza dei fattori neurofisiologici
I criteri diagnostici e terapeutici per affrontare la sindrome ADHD trovano fondamento scientifico nel ‘Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali’ (Diagnostic and Statistic Manual of Mental Disorders, abbreviato in DSM). Secondo la quarta edizione del DSM i sintomi di iperattività e impulsività si manifestano per almeno 6 mesi e compaiono prima che il bambino abbia compiuto 7 anni; la quinta edizione del manuale ha esteso l’arco temporale fino ai 12 anni. Le ricerche condotte negli Stati Uniti attraverso Tac, risonanze magnetiche e tomografie hanno rilevato come nei bambini affetti dall’ADHD alcune aree del cervello siano di dimensioni inferiori rispetto ai bambini senza sintomi di iperattività o impulsività (fonte: ISS). Tra i fattori di rischio bisogna considerare anche la nascita prematura; il peso del neonato al momento della nascita; infine l’assunzione di alcol, fumo e sostanze stupefacenti durante la gravidanza.
L’ambiente e l’alimentazione nell’ADHD
Anche l’inquinamento atmosferico aumenta le probabilità di soffrire di ADHD. Uno studio canadese ha riscontrato come nei bambini residenti nelle aree urbanizzate, la percentuale di chi soffre di ADHD salga del 62% rispetto alla popolazione che respira aria più pulita. La ricerca condotta sui bambini nati a Vancouver all’inizio degli anni Duemila conclude sull’esistenza di “prove che suggeriscono disuguaglianze ambientali: i bambini che vivono in quartieri più verdi, e con un basso inquinamento atmosferico, hanno un rischio inferiore di ADHD, rispetto a quelli esposti a un inquinamento atmosferico più elevato e con una minore disponibilità spazi verdi.”
Una tendenza che viene confermata anche nella sfera dell’alimentazione. La rivista scientifica Nutritional Neuroscience ha pubblicato una ricerca condotta su 134 bambini tra i 6 e i 12 anni, in cui i ricercatori associavano l’alimentazione con i sintomi dell’ADHD e dell’ED (la ‘disregolazione emotiva’). L’assunzione di frutta e di verdura portava la disattenzione a dei livelli negativi, cioè “coloro che mangiavano meno frutta e verdura avevano probabilmente sintomi più gravi di disattenzione.”
I numeri dell’iperattività: bambini, adolescenti e adulti
Il 4% dei bambini in età scolastica soffre di disturbo dell’attenzione con iperattività. Per ogni persona di sesso femminile si contano dalle 3 alle 9 persone di sesso maschile. Inoltre, poiché i sintomi si presentano in ogni contesto, le loro attività quotidiane ne risultano condizionate. Se guardiamo alla popolazione italiana tra i 6 e i 18 anni, a soffrire di inattenzione e iperattività è l’1% (fonte: ISSalute). Sebbene la sindrome da iperattività sia classificata tra i problemi di salute mentale pediatrica, se non è riconosciuta e trattata per tempo i suoi effetti si protraggono fino all’età adulta. In questo caso i sintomi attraverso cui si manifesta sono:
• disturbo esplosivo intermittente
• disordini da uso di sostanze
• disturbi antisociali
• disturbi della personalità
• disturbo ossessivo compulsivo
• tic
• disturbo dello spettro autistico (fonte: ISSalute).
L’approccio terapeutico psicodinamico è il percorso che lo psicoterapeuta intraprende con il paziente, per affrontare un disturbo da deficit dell’attenzione con iperattività. Se ti rivedi in alcuni dei sintomi che abbiamo descritto, o riconosci qualcuno che ne soffre, valuta la richiesta di una consulenza. La psicoterapia permetterà alla persona in cura di migliorare le capacità di apprendimento, relazionali e il suo benessere generale.