Cosa significa essere caregiver. Prendersi cura di chi si prende cura

Di punto in bianco la vita cambia. Chiunque potrebbe trovarsi ad accudire un familiare. Chi fino a quel momento era stato un sostegno per la famiglia, o la coppia, ora ha bisogno di assistenza quotidiana. Una persona che stia affrontando un tumore, o un lungo processo di guarigione, non sarà in grado di gestire quella situazione da sola. Dalle piccole faccende domestiche, alle medicazioni di routine, fino alla gestione delle visite mediche: prenotazioni, referti da portare con sé, pagamenti, richieste di indennità. I caregiver sostengono tutto ciò che gravita intorno alla persona che assistono. Questo impegno quotidiano che ricadute ha sulla propria vita? Il corpo e la mente inviano dei segnali quando il livello di stress è troppo alto. È bene riconoscerli per chiedere aiuto senza imbarazzo né esitazione.
Vediamo quali sono.
Cose da imparare, errori da evitare: come cambia la vita dei caregiver
Possiamo prenderci cura di una persona in vari modi. C’è chi sa organizzare con destrezza le incombenze quotidiane e burocratiche, chi invece è più propenso per l’ascolto, il dialogo, l’empatia. Ognuna di queste abilità è necessaria: dove non si è capaci si imparerà. Nell’immediato la persona che accudisce il paziente tenderà a volersi occupare di tutto, trascurando i propri bisogni e le proprie emozioni. È comprensibile, e naturale, ma a lungo andare lo stress sarà eccessivo e la sua salute ne risentirà. Questo ci fa giungere a una prima conclusione: se vogliamo prenderci cura di una persona, i primi a dover star bene siamo noi. Non dimentichiamoci i nostri limiti e di prenderci cura di noi stessi.
Dalla rabbia alla solitudine: capire le emozioni contrastanti
Rabbia, speranza, solitudine. Essere un caregiver implica vivere una varietà di stati d’animo lontani l’uno dall’altro. Per prima cosa concediamoci di provare queste emozioni; in un secondo momento cerchiamo di comprendere da dove nascano. Proviamo a illustrare quelle più comuni:
• Rabbia. L’emozione può scaturire dalla paura, dalla preoccupazione. La persona che assiste il malato sarà arrabbiata con quella situazione, sé stessa o le persone intorno. Se incanaliamo questa emozione nel modo giusto, non comprometteremo le nostre relazioni e potremo usare questa energia per attuare un cambiamento.
• Pena. Se perdiamo una persona che amiamo, dovremo concederci del tempo per elaborare il lutto e accettare i cambiamenti che ne conseguiranno.
• Senso di colpa. Vorremmo poter fare di più, o fare meglio di quanto stiamo facendo. Qualunque sia l’origine di questa emozione, cerchiamo di parlarne con chi abbiamo intorno per aiutarli a comprenderci.
• Ansia. L’eccesso di tensione porta a questo stato emotivo. Affrontiamo un problema alla volta senza sovraccaricarci.
• Depressione. Se siamo giù di morale per quasi un mese, chiediamo aiuto a un professionista che può riconoscere i sintomi della depressione e aiutarci ad alleviarla.
• Speranza. Nell’arco di una stessa giornata le nostre speranze oscilleranno tra gli obiettivi più diversi: un risultato visibile delle cure, un po’ di pace.
• Disperazione. Se siamo in preda allo sconforto e non riusciamo ad avere una visione oggettiva, chiediamo aiuto alle persone che ci sono vicine o ad uno specialista.
• Solitudine. È difficile spiegare alle altre persone come ci sentiamo, tanto quanto trovare del tempo per sé e focalizzare le proprie emozioni. Benché faticoso, continuiamo a condividere le nostre emozioni con le persone care.
Consigli pratici per esternare il proprio stato emotivo e alleggerire il carico di lavoro
Un errore molto comune dei caregiver è quello di non concedersi di sbagliare, di avere momenti di debolezza o di ascoltarsi. Il primo passo per prendersi cura di sé parte da qui:
• Errori. Accettiamo i nostri errori e usiamoli per migliorare.
• Debolezze. Esterniamo le nostre emozioni e le nostre fragilità.
• Scelte. Dedichiamoci alle cose che contano davvero.
• Priorità. Rimandiamo le faccende che non sono urgenti.
• Riposo. Un pisolino ristoratore potrà farci solo bene.
• Clemenza. Perdoniamoci quando facciamo degli errori.
• Dialogo. Raccontiamo come ci sentiamo a persone fidate o competenti.
• Aiuto. Deleghiamo quello che non riusciamo a fare.
• Positività. Guardiamo le cose positive che questo momento ci sta insegnando.
• Leggerezza. Rievochiamo dei momenti divertenti; cerchiamo film, fumetti o persone che ci aiutino a ridere.
• Parole. Scriviamo su un quaderno tutto ciò che ci passa per la testa. Frasi scorrette, pensieri confusi, non importa. Mettere su carta le nostre emozioni ci aiuterà a elaborare come ci sentiamo e ci darà sollievo.
Accettare dei no alle nostre richieste di aiuto
Se chiedere aiuto sembra difficile, ancor di più sarà sentirsi rispondere di no da chi non ce lo aspetteremmo. Sebbene tutte le nostre energie siano mobilitate per le varie incombenze, cerchiamo di essere comprensivi. Non tutti sono in grado di fornire aiuto in certe circostanze. Ci sono persone che hanno vissuto esperienze simili e sono spaventate dal riprovare lo stesso dolore; altri non sono in grado di mostrare in modo tangibile il loro interesse; altri ancora preferiscono non essere coinvolti.
Essere caregiver significa fare i conti con tanti cambiamenti:
equilibri familiari, progetti personali e professionali, emozioni. Rivestire questo ruolo, e poi dismetterne i panni, significa sostenere un volume di stress al quale molti di noi non sono preparati. Non trascuriamoci. Sforziamoci di condividere i nostri sentimenti con la cerchia delle amicizie più forti; curiamo la nostra alimentazione; facciamo attività fisica. Infine, consideriamo la possibilità di affidarci a uno psicoterapeuta: sarà di grande aiuto nell’esternare come ci sentiamo e uscire dallo stato confusionale causato dallo stress.