Coming out e paura del rifiuto

Il “coming out” è il processo attraverso il quale una persona dichiara pubblicamente il proprio orientamento sessuale differente dalla “norma”. Dalle persone omosessuali è considerato un elemento rilevante nella formazione della propria identità sociale omosessuale.
Il riconoscimento di sé come LGBTQI è molto spesso un percorso complesso, caratterizzato da diverse fasi. Uno dei modelli più noti di sviluppo identitario è quello di Ruth Fassinger (1996). Secondo questa autrice, una persona omosessuale attraversa 4 stadi sequenziali di riconoscimento della propria identità. La prima fase è quella della consapevolezza, ovvero il percepirsi come differenti dagli “altri”. La seconda è una fase esplorativa dei sentimenti di attrazione per le persone dello stesso sesso. Nel terzo stadio, il senso di sé come persona gay o lesbica viene interiorizzato profondamente. Infine, nella quarta fase, l’identità LGBTQI è integrata con gli altri aspetti della propria identità personale.
Il processo del coming out si costruisce e si esprime nel corso o al termine di queste fasi.
La letteratura scientifica ha spesso sottolineato l’alto grado di stress connesso alla dichiarazione pubblica del proprio orientamento. Conseguentemente, sono stati spesso evidenziati i rischi per la salute mentale che tale evento inevitabilmente comporta. E se non per tutti il vissuto associato è spiacevole, molte persone LGBTQI sperimentano tensione fisica e psicologica, paura e grande affaticamento.
Il coming out non è quasi mai costituito da un unico evento, ma è la successione delle dichiarazioni pubbliche di sé nel corso dell’intera esistenza.
Una persona LGBTQI è esposta per tutta la vita al rischio/opportunità del proprio “venir fuori”. In genere, gli studi scientifici hanno cercato di misurare lo stress associato al coming out, con risultati contrastanti. Quasi nessuno però ha risposto alla domanda: quale è il fattore più stressogeno?
Nell’aprile 2016, un articolo comparso sul Journal of Gay & Lesbian Mental Health ha fornito una risposta interessante e forse prevedibile. Dalle interviste a 400 giovani adulti LGB, è risultato che l’evento più stressante è il coming out in famiglia. La paura del rifiuto e di rovinare le relazioni, soprattutto con la propria madre, sono le principali ragioni che spingono ad evitare la rivelazione di sé. Oltre a ciò, è determinante la convinzione di non poter contare su risorse adeguate a fronteggiare lo stress sperimentato.
Tanti coming out in famiglia evolvono positivamente, nel corso del tempo, al di là dell’esito immediato. Ma il momento specifico della dichiarazione di sé ai propri cari è un evento in cui si è spesso soli, impauriti, privi di sostegni adeguati. Inoltre, l’impatto del pregiudizio sociale sui singoli, spesso legittimato dalla politica e dalla legge, può essere enorme.
Nei casi di maggior sofferenza e difficoltà, un aiuto psicologico può essere effettivo ed efficace.
Lo scopo è sia di fornire un supporto umano di comprensione ed alleanza, sia di chiarire nodi irrisolti, sciogliere incertezze e dubbi e ampliare un orizzonte esistenziale che, nei momenti più complessi della vita, può apparire soffocante e senza uscita.
A differenza delle prime due accezioni, l’omofobia come fobia specifica non e frutto di un consapevole pregiudizio negativo nei confronti dell’omosessualita quanto piuttosto di una dinamica irrazionale legata ai vissuti personali del soggetto.
La ringrazio per il suo interessante commento. In effetti, il processo del coming out è strettamente intrecciato (non può non esserlo!) all’omofobia presente nel contesto. Peraltro, nell’articolo ho voluto mettere in luce soprattutto il vissuto della persona impegnata nel percorso della dichiarazione pubblica di sé e fornire uno spunto sugli elementi che, secondo la letteratura scientifica più recente, sono considerati maggiormente stressogeni. Volutamente ho messo da parte accenni diretti all’omofobia: il poco spazio a disposizione non mi avrebbe consentito una trattazione adeguatamente approfondita. In ogni caso, la natura implicita dell’atteggiamento omofobico sarà certamente oggetto di un prossimo mio post.
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