Come ti può aiutare uno psicologo se soffri di disturbi alimentari

Ci guardiamo allo specchio e non ci piacciamo. Troppa pancia, troppi chili, troppo tempo per eliminarli. Nei momenti conviviali le persone non le incontriamo più: il pranzo e la cena sono momenti nostri, riservati, prestabiliti nell’ora e nel cosa mangiare. Guai a uscire da una certa routine. Le abitudini elencate fin qui, prese una per una, potrebbero non essere un motivo d’allarme. Eppure, accade che molte più persone di quante ne immaginiamo soffrano di disturbi del comportamento alimentare (DCA), ma noi non ce ne accorgiamo. Uno dei motivi è quello di avere una concezione stereotipata di chi ne soffre. Se una persona soffre di disturbi alimentari, la prima immagine che viene in mente è quella di una persona giovane, di sesso femminile, magra e caucasica. E il resto della popolazione?
Usciamo dal tunnel degli stereotipi e della routine
Anche gli uomini, le persone omosessuali o quelle non binarie, soffrono di disturbi del comportamento alimentare. Senza contare che una persona può avere un malsano rapporto con il cibo a prescindere dal Paese da cui proviene, dalla propria etnia. Soffrire di DCA è una condizione che può colpire chiunque e va affrontata come un problema di salute mentale. Uno dei tratti che accomuna la persona soffre di questo disturbo è la rigidità rispetto agli orari e ai rituali che riguardano il cibo. Ormai la sua giornata ruota attorno al momento dei pasti: cosa e quanto mangiare, quando e con chi. È improbabile che la persona permetta a qualcuno di interrompere la propria abitudine, perché questo potrebbe farla agitare, soffrire di ansia. Pur di tutelare quel momento così studiato, la persona è disposta a rinunciare alla relazione.
Ridimensioniamo le nostre dimensioni
Più che specchiarsi, la persona tende giudicarsi allo specchio. Cerca la minima imperfezione, anela un’altra corporatura: più alta, tonica, muscolosa, formosa o esile. Insomma uno stato di forma ideale, perfetto, dunque nocivo per il benessere psicofisico. Se la persona non si piace allo specchio, se la prenderà con sé stessa, si sentirà inferiore all’ideale che vorrebbe raggiungere, e mortificherà la propria autostima.
Inoltre, potrebbe apportare dei correttivi al proprio stile di vita, salutari a uno sguardo distratto, ma vissuti in maniera tossica: sottoporsi ad allenamenti estenuanti. Lo sport viene vissuto non come momento di socializzazione, bensì come ossessione: al pari del momento dei pasti, l’attività fisica diventa il tassello di una routine in cui la persona lavora fino allo sfinimento, per bruciare calorie, per aumentare la massa muscolare. Il circolo vizioso accelera quando un allenamento eccessivo viene associato a un regime alimentare arbitrario, sbagliato, in cui si eccede con l’assunzione di certi alimenti e se ne escludono altri.
Curiamo la vita sociale l’umore
Vivere all’interno di una giornata scandita in ogni dettaglio per i pasti e il tempo libero, non farà che allontanare la persona dalle relazioni sociali. Per ogni invito, risponderà che non potrà se non combacia con i propri impegni tutt’altro che inderogabili. Non solo, consideriamo che le restrizioni sul cibo la porteranno a essere irritabile, apatica e non più in grado di portare a termine i propri compiti. Sebbene a chiunque possa capitare di non vedere la propria cerchia di amici in certi periodi, solleviamo dei sospetti se una persona riduce tanto il contatto con gli altri, quanto l’assunzione degli alimenti.
Freddo, stanchezza e apatia vengono con la malnutrizione
L’apporto inadeguato di zuccheri e di altre sostanze di cui abbiamo bisogno, ci farà sentire freddo, stanchezza e letargia. Inoltre, la persona potrebbe camuffare il proprio stato di malnutrizione attraverso i vestiti. Se pensiamo che un nostro conoscente soffra di disturbi del comportamento alimentare, notiamo se indossa indossi abiti di taglia superiore alla propria, o se scelga vestiti caldi d’estate.
Pensiamo e parliamo anche di altro, non solo di cibo
Meno mangiamo, più pensiamo al cibo. La fame trova sempre il modo di inserirsi nelle conversazioni. La persone che si sta sottoponendo a un regime alimentare inadeguato e restrittivo, vivrà l’appetito come un’ossessione. Benché possa inscenare delle abitudini per rimanere insospettabile, come parlare di ricette o cucinare per altri – tranne che per sé stessa –, alla fine i suoi desideri culinari non troverebbero mai una reale soddisfazione.
Specchiamoci e accettiamo chi siamo
Alcuni disturbi gastrointestinali sono piuttosto comuni: costipazione, reflusso, bruciore al torace o gonfiore addominale. Accettare di soffrirne è l’inizio del percorso, ma cercare di risolverli attraverso una restrizione arbitraria degli alimenti, non farà che peggiorare la nostra situazione. Per quanto possa sembrare insolito, un disturbo gastrointestinale potrebbe addirittura scaturire da un disturbo alimentare, o condizionare l’apporto di cibo al punto da farlo insorgere.
Gli alimenti che ingeriamo hanno un impatto sul nostro corpo. È naturale che il nostro ventre si modifichi un po’ dopo i pasti. Se viviamo con disagio la minima alterazione del nostro fisico dopo aver mangiato, prima di prendere qualsiasi iniziativa avventata, parliamone con uno psicoterapeuta. Il confronto con uno psicologo saprà aiutarci a vedere da un punto di vista esterno e qualificato la nostra routine, la nostra vita sociale e i nostri comportamenti restrittivi. Il percorso psicoterapeutico ci guiderà ad accettare il nostro dolore, il nostro corpo, e ad andare avanti.