Amore disfunzionale: riconoscerlo per uscirne

È frequente idealizzare l’incontro con l’altro come un momento di fioritura. “Ecco la persona che ho sempre cercato; lei (lui) mi capisce; ci frequentiamo da pochi mesi ma sembra che ci conosciamo da una vita.” Frasi del genere manifestano la trepidazione dell’attesa, il fervente desiderio di conoscere la persona che ci avrebbe completato. Tuttavia, questo modo di pensare ci pone in una posizione precaria e di inferiorità. Perché deleghiamo all’altro il compito di renderci delle persone migliori, serene? Siamo attratti dalla persona, o da ciò che rappresenta? Vediamo quali segnali caratterizzano una relazione disfunzionale.
L’idillio iniziale lascia spazio a una relazione tossica
Se nel corso della nostra storia d’amore proviamo più volte ansia, disagio o senso di inadeguatezza, ascoltiamoci e fermiamoci. Ci aspettano ben altro che rose e fiori. Infatti, tra le nervature di un amore malato si annidano questi parassiti:
- La gerarchia. Se nella coppia non si arriva mai a un compromesso, significa che il rapporto è asimmetrico: uno controlla, l’altro annuisce; non c’è margine di trattativa, non c’è rispetto.
- La frustrazione. Scaricare sull’altro la colpa di tutto, accusarlo di essere in un modo piuttosto che in un altro. Per esempio: “tu sei così…; fai sempre così…; sei tu che volevi fare… quando io invece…”
- Il risentimento. Una comunicazione bellicosa, distruttiva, porta a nutrire rancore verso l’altro. Più forte sarà questa emozione, più difficile sarà perdonare e riconciliarsi.
- La disconnessione. Nessuno si prende più cura dell’altro. L’indifferenza verso i problemi personali innesca un circolo vizioso di negatività. L’amore di un tempo ingiallisce, poi appassisce.
Preferiamo una frustrazione certa piuttosto che esplorare la serenità
Benché sia dura da ammettere, è uno scenario probabile. “Tutti io li trovo i casi umani; me li scelgo con il lanternino; sono tutti uguali.” Non è una regola, ma capita di sovraccaricare la relazione di aspettative. Se siamo adusi nel ricadere sulle stesse scelte – che poi chiamiamo errori – interroghiamoci sul motivo e assumiamoci le nostre responsabilità. Poniamoci delle domande spinose: perché il partner è così simile a quello, o quella, precedente? Chi ci ricorda? Perché per l’ennesima volta affrontiamo le solite discussioni?
Una risposta plausibile è che siamo fossilizzati su un modello sbagliato. Se durante la nostra infanzia l’atmosfera familiare era turbolenta, con il passare degli anni le relazioni disfunzionali al suo interno sono diventate il nostro modello. Dunque, in età adulta finiamo col ripetere quei comportamenti disadattivi che abbiamo interiorizzato, nonostante siamo consapevoli che non ci porteranno ad avere delle relazioni sane. Inoltre, il nostro modo di pensare, di rinnovarci, è piuttosto restio al cambiamento. Due motivi su tutti, di cui uno è il prerequisito dell’altro:
- Siamo individui regolati da dispositivi omeostatici, cioè tendiamo a mantenere le nostre caratteristiche al variare delle condizioni esterne (fonte Treccani). Insomma, fin dove possiamo rimaniamo come siamo, cambiare è sempre l’ultima delle opzioni.
- Comfort zone. Abbiamo paura di uscire dalla nostra zona di comfort, di rischiare. Davanti a una decisione tra certo e incerto, andiamo sul sicuro malgrado la scelta non ci soddisfi.
Dentro di noi sospettiamo già quali saranno i prossimi scenari: li abbiamo già vissuti, sappiamo che non ci piaceranno, ma tutto sommato ci sono familiari. Purtroppo i primi a dirci “te l’avevo detto” siamo proprio noi.
Cosa non dobbiamo accettare in una relazione
Quando la relazione sfiorisce in fretta, meglio potare. Una relazione sana non potrà mai chiederci una simbiosi assoluta, un appiattimento sulle esigenze dell’altro. La persona soggiogata dal partner predominante si annulla, perde la propria autostima, fino a mettere in atto un comportamento evitante. Chi è più debole subisce una manipolazione: accetta qualunque decisione per non innescare delle reazioni che gli generino sofferenza. L’evitamento è una modalità di comportamento che rientra nel disturbo della personalità. Domandiamoci allora: un amore può chiederci in cambio la nostra autostima? No. Un amore vale l’accettazione incondizionata di ogni decisione? No. Non è mai amore se pregiudica la nostra salute mentale.
Usciamo da una relazione disfunzionale
Le discussioni all’interno di una relazione di coppia, finché avvengono nel rispetto reciproco, sono salutari per la qualità del legame. Il conflitto tra due persone che si amano segnala che entrambi sono sicuri di sé al punto da riconoscere di essere in disaccordo con il partner. Inoltre, la volontà e l’impegno di entrambi per superare le difficoltà temprerà la tenuta del rapporto. Però, se l’insorgere delle difficoltà è fonte di attacchi, rancori, indifferenza o di altri comportamenti che possano minare l’autostima o il nostro benessere psicofisico, allora è il momento di finirla lì.
Se stiamo vivendo una relazione disfunzionale c’è una sola cosa da salvare: noi stessi o noi stesse.
È difficile accettare quello che stiamo vivendo, prenderne coscienza e soprattutto decidere che la strada insieme non va più bene. Temporeggiare e raccontarci che forse siamo noi, che le cose cambieranno seppure nulla sia ancora cambiato, contaminerà persino l’amor proprio. Se ci sentiamo in trappola e non sappiamo da dove cominciare per uscirne, chiediamo l’aiuto di uno psicoterapeuta. La consulenza di uno psicologo ci fornirà un punto di vista esterno sull’amore tossico che stiamo vivendo. Impareremo a nutrire la nostra autostima per proseguire nel nostro cammino più consapevoli di chi siamo, di cosa ci meritiamo e di chi vogliamo accanto.