6 tipi di microaggressioni verso la comunità LGBT*IQ+

“Queste sono cose da gay”, “fai il maschio”, “comportati da uomo”, “gli uomini non piangono”.
A chiunque sarà capitato di ascoltare espressioni come queste. Per non parlare degli insulti veri e propri. Nemmeno certi film destinati alla grande distribuzione, sia italiani che stranieri, erano estranei all’uso di un certo linguaggio.
Che si tratti di espressioni o atteggiamenti connotati da un malcelato pregiudizio o ostilità, ognuno di questi atti può essere seguito da una giustificazione: “Scusa, non l’ho fatto apposta”, “No, ma io scherzavo”, “Dai, non offenderti”, “Oh, ma quanto sei sensibile”. A volte la giustificazione non è altro che un finto pentimento, e spiana la strada alla reiterazione dello stesso comportamento. Per fortuna non è sempre così.
Offendere anche senza accorgersene: le microaggressioni.
Purtroppo non è nemmeno così facile discernere un comportamento mosso dal pregiudizio da un altro che ne è condizionato, pur essendo inconsapevole di esserlo. Comunque la si veda il risultato non cambia: il destinatario del messaggio viene ferito da quello scambio comunicativo. Dunque, diamo un nome a questo tipo di situazioni.
Stiamo parlando delle microaggressioni. Se ne distinguono di due tipi: quelle manifeste e quelle subdole. Le prime hanno lo scopo dichiarato di offendere la persona a cui sono rivolte. Le microaggressioni nascoste, invece, sono quelle che il parlante veicola nei suoi enunciati senza rendersene nemmeno conto. Vivere sulla propria pelle delle esperienze di microaggressione a lungo andare può ledere la salute mentale, la produttività sul lavoro, e in generale la qualità della vita sociale.
Dalle minoranze etniche alla comunità LGBT*IQ+: il paradigma delle microaggressioni è sempre lo stesso.
Le prime pubblicazioni scientifiche sulle microaggressioni riguardavano gli episodi vissuti dalle minoranze etniche. Nel 2007 Derald Wing Sue, professore della Columbia University, propose una tripartizione degli attacchi di cui si poteva essere vittima: microassalti, microinsulti e microinvalidazioni.
Microattacchi: sono gli insulti o i gesti consapevoli e intenzionali, come gli epiteti, o le azioni volte a privilegiare un gruppo rispetto a un altro.
Microinsulti: riguardano quegli atti di comunicazione verbale e non verbale che in modo subdolo trasmettono scortesia, mancanza di tatto, e umiliano l’identità o l’appartentenza etnica della persona.
Microinvalidazioni: sono costituite dalle comunicazioni che mortificano l’altro attraverso l’esclusione, la negazione o l’annullamento dei suoi sentimenti e delle sue esperienze.
Se allarghiamo lo spettro della nostra analisi, possiamo osservare come esistano microaggressioni razziste (basate sull’appartenenza etnica), sessiste (fondate sulla disparità di genere tra uomo e donna) e omofobe (contro gli appartenenti alla comunità LGBT*IQ+).
LGBT*IQ+: accogliere il suo lessico per parlarne in modo inclusivo.
La sigla LGBT*IQ+ indica l’appartenenza a generi sessuali altri. Dunque non rientrano in questa categoria le persone eterosessuali (attratte da persone dell’altro sesso), né quelle cisgender, cioè le persone ‘il cui senso di identità personale e genere corrisponde al sesso attribuito dalla nascita’, (fonte Oxford English Dictionary).
Nel corso degli anni si è passati dalle quattro lettere LGBT, all’acronimo più articolato LGBT*IQ+. Sciogliamone il significato. Come testimoniato dalla pubblicazione “Risorse Arcobaleno. Compasito Specifico su Sessualità e Genere. IFM-SEI, Bruxelles, 2014”, l’acronimo LGBT*IQ+ sta per “lesbiche, gay, bisessuali, trans*, intersex e queer”, a volte si aggiunge anche una A per Asessuale. LGBT*IQ+ “è utilizzato per rappresentare una gamma più ampia di persone che sono non-eterosessuali o che hanno un’identità di genere non-normativa. L’aggiunta del “+” sta a significare l’apertura a nuove identità”.
Come accade a ogni altro gruppo emarginato, anche la comunità LGBT*IQ+ vive la propria quotidianità subendo episodi di ostilità e discriminazione. Le microaggressioni che ogni giorno la colpiscono sono riconducibili a 6 tipi.
1. Adottare una terminologia eterosessita e transfobica.
L’eterosessismo è “la discriminazione delle persone e delle forme relazionali che divergono dal modello eteronormativo”, una forma in cui si manifesta è il divieto ai matrimonio tra coppie dello stesso sesso. La transfobia, invece, è la discriminazione o il pregiudizio verso le persone trans* per il semplice fatto di essere trans*, o dovuta all’espressione della loro identità di genere (fonte Risorse Arcobaleno, cit.). Qualunque espressione o epiteto contro la categoria LGBT*IQ+ rientra in questo tipo di microaggressione. Facciamo degli esempi: “Queste sono cose da gay”, “travestito”; oppure usare la dicitura “no homo” (‘non omosessuale’) dopo un’espressione che potrebbe essere fraintesa, e quindi interpretata come se esprimesse un apprezzamento verso una persona dello stesso sesso. Quest’ultima è solo una delle tante licenze adottate nel mondo dei rapper. Proprio dall’universo hip hop i più giovani attingono il loro lessico e lo riusano in modo sconsiderato, a discapito dei loro coetanei che non hanno il coraggio di fare coming out, cioè di dichiarare la loro identità non-etero o trans*.
2. Sostenere la cultura e i comportamenti eteronormativi.
L’eteronormatività è l’imposizione di “un modello culturale in cui l’eterosessualità è percepita come normale, attesa e scontata, a svantaggio di altri orientamenti sessuali ritenuti anomali e quindi da scoraggiare” (Fonte Zanichelli). “La presunzione che le relazioni eterosessuali tra uomo e donna siano la normalità” (Risorse Arcobaleno, cit.) si riscontra nelle pubblicità, che infatti mostrano solo coppie eterosessuali. La microaggressione prende corpo quando ci si aspetta che una persona non-eterosessuale parli e agisca in modo contrario a ciò che sente di essere.
3. Congetturare sull’universo LGBT*IQ+
Questa microaggressione consiste nel presumere che tutte le persone che fanno parte della comunità LGBT*IQ+ agiscano allo stesso modo, in conformità con un certo stereotipo. Per esempio: ci si aspetta che le lesbiche abbiano tutte un atteggiamento mascolino; che le persone bisessuali siano confuse; o che i transgender facciano del sesso la loro professione.
4. Fastidio o disapprovazione verso la comunità LGBT*IQ+
Parliamo dei casi in cui le persone LGBT*IQ+ sono trattate con imbarazzo o disapprovazione. Per esempio: guardare di traverso le coppie omosessuali che si prendono per mano nei luoghi pubblici; sostenere che un orientamento sessuale altro sia ripugnante o comunque contro natura. In alcuni casi delle persone che erano state pubblicamente ridicolizzate, in seguito si sono suicidate.
5. Presumere una patologia sessuale o un’anormalità.
Queste microaggressioni avvengono quando gli eterosessuali etichettano le persone LGBT*IQ+ come pervertite o troppo sessuali. Una convinzione del genere ha delle serie ripercussioni nel momento in cui determina la possibilità o meno di donare il sangue. In Italia questo divieto non esiste più dal 2001: per le donazioni si considerano i comportamenti assunti e non l’orientamento sessuale degli individui. La situazione cambia nel resto del mondo. Negli USA, solo a partire dal 2015 la FDA (Food and Drug Administration) ha eliminato il bando sulle donazioni di sangue da parte delle persone omosessuali, purché il donatore si sottoponga a un periodo di astensione sessuale di 12 mesi (Fonte Avis). In Taiwan questo limite è di 5 anni, in Cina la donazione del sangue è ancora vietata (Fonte Avis). Alla luce di questa impossibilità, Wikipedia ha dedicato una sezione in cui è possibile consultare quali siano le restrizioni vigenti per gli omosessuali che hanno avuto rapporti.
6. Negare la riservatezza sulla vita privata.
Una persona transgender vive questa microaggressione quando il suo interlocutore si sente in diritto di oggettivare il suo corpo, senza ritegno. Non è passato inosservato un caso avvenuto nella TV americana. Nel corso del programma Katie Couric Show la conduttrice ha chiesto a Carmen Carrera alcuni particolari sui suoi genitali. Una domanda invadente e sconveniente, che nessuno avrebbe mai fatto in TV a un ospite cisgender.
Giorno dopo giorno la mente e il corpo possono risentire gravemente di tutti i costanti atti di ostilità.
Sebbene queste microaggresioni possano sembrare innocue e di poco conto, a lungo andare possono portare alla depressione, al disagio psicologico e persino a problemi di salute fisica. Dobbiamo assumerci l’impegno di parlare in modo inclusivo e rispettoso dell’altro; esortare gli altri a non alimentare gli stereotipi; chiedere scusa e non metterci sulla difensiva se siamo stati noi a sbagliare; ascoltare l’altro; chiedere aiuto. Se hai avuto esperienze di microaggressioni, la consulenza di uno psicologo è la scelta da compiere per non dissimulare il tuo disagio, e seguire un percorso che tuteli il tuo benessere fisico e mentale.